L’IA nella scuola: un nuovo orizzonte per l’apprendimento
È il titolo di una tavola rotonda organizzata a Torino dalla Fondazione Sordella e con il contributo della Regione Piemonte
Alessandro Marini 31/12/2025
Da sinistra Camilla Conti, Donatella Busso e Silvia Benevenuta
Nell’edizione di domenica 7 dicembre abbiamo dedicato due pagine all’iniziativa «Intelligenza Artificiale: disegniamo il Futuro, Insieme. Un dialogo tra innovazione, lavoro ed etica a Torino». Tuttavia, vista l’importanza di un argomento così attuale, abbiamo deciso di sviluppare singolarmente le tre parti in cui era suddiviso l’incontro. L’evento è stato organizzato dalla Fondazione Sordella, con il contributo della Regione Piemonte, in collaborazione con le testate giornalistiche Il Giornale del Piemonte e della Liguria, Il Giornale del Piemonte e della Liguria web, La Bisalta, La Piazza Grande, Il Nuovo Braiedese, Espansione, BancaFinanza, Giornale delle Assicurazioni ed Edicola Digitale.
La seconda tavola rotonda intitolata «L’IA nella scuola: un nuovo orizzonte per l’apprendimento» è stata moderata da Beppe Ghisolfi, giornalista e banchiere e da Camilla Conti, giornalista economica de «Il Giornale» e del settimanale «Moneta» che ha aperto il dibattito con un interrogativo rivolto alla prima relatrice, la science communicator di Discentis Srl, Silvia Benevenuta: «Il tema che volevo affrontare è se l’IA, a causa del suo fare accogliente ed empatico, potrebbe portare i giovani a vederla come un amico o addirittura come uno psicologo?».
«Gli studenti delle superiori utilizzano l’intelligenza artificiale nei modi più disparati: chiedendo aiuto per i compiti, per rispondere ai messaggi di una ragazza o di un ragazzo, per l’outfit, ma anche come psicoterapeuta.
Si tratta di uno strumento che ci risponde in maniera empatica, ci dice che siamo preparatissimi e che tutte le nostre idee sono geniali. Quindi sì, usiamo l’IA come amico e pertanto la scuola e la società devono agire su due livelli. Il primo deve insegnare cos’è davvero e cosa non è l’IA. Il secondo, invece, è lavorare sugli strumenti, ossia ha senso usare l’IA a scuola? Certamente, ma bisogna chiedersi per quale fine la usiamo.
A tal proposito qualche tempo fa hanno svolto un esperimento: é stato chiesto a 1.000 studenti di dividersi in tre gruppi. Al primo è stato vietato l’accesso all’IA, al secondo è stato consentito l’uso di chat gpt, mentre al terzo è stato fornito chat gpt in versione tutor, una versione creata appositamente per fare domande e non dare risposte. Dopodichè sono stati fatti due test sugli stessi argomenti.
Al primo quesito il primo gruppo è andato benino, il secondo ha spaccato, il terzo è andato bene, quasi comprabile al secondo gruppo. Nel secondo test, invece, è stato rimosso il supporto di chat gpt a tutti e tre i gruppi.
Il primo è andato come prima. Il secondo è stato un vero e proprio disastro, con risultati ben peggiori rispetto al primo test. Il terzo infine, è andato meglio anche del primo gruppo, anche se con voti di poco superiori.
Quindi, questo esperimento suggerisce che se vogliamo utilizzare l’IA nelle scuole, bisognerebbe usarla come mezzo che faccia le domande e non come uno che fornisca risposte. Va sottolineato il fatto che esistono IA utili anche per persone con DSAo ADHD. Non bisogna lanciare l’IAa pioggia a prescindere dal campo in cui siamo, così facendo si fa un uso consapevole e sensato di uno strumento potente. Inoltre, è doveroso sviluppare una visione critico riguardante l’IA e questo vale sia per giovani che per gli adulti. D’altronde, se chiediamo a un qualsiasi programmatore ci dice che l’IA è una tecnologia «scema», perchè se è vero che può fare cose pazzesche è anche vero che i bambini possono programmarle, come ha dimostrato un progetto del 2021. Inoltre, grazie a ciò i bambini hanno capito che l’IAnon gli vuole bene, non è empatico e non è più intelligente di loro.
Concludo ripetendo che la grossa difficoltà è educare al pensiero critico. Inoltre, come scuola dobbiamo passare dall’obiettivo al percorso verso l’obiettivo, visto che ormai l’IA permette di raggiungere facilmente quest’ultimo. La valutazione non dev’essere più incentrata sul risultato, ma piuttosto sul processo.Da docenti dobbiamo educare a compiti di difficoltà superiore, così che l’intelligenza artificiale ti possa aiutare, ma per arrivare al risultato serve per forza il pensiero critico dello studente. Non sarà più solo fai un riassunto, ma comparare un determinato testo alla tua vita privata. Lo studente deve sentirsi motivato e noi come professori dobbiamo valutare il processo che gli ha condotti al risultato».
Prima del secondo intervento Camilla Conti ha citato un’indagine che afferma che l’adozione diffusa del l’IA generativa nei prossimi quindici anni potrebbe aumentare fino al 18,2% la produttività italiana, generando un valore aggiunto annuo di 300 miliardi di euro che si traducono in 5,7 miliardi di ore di lavoro lavorate che da sole contribuirebbero a 122 miliardi di euro di nuova ricchezza. Il problema, come rimarca la Conti, rimane il fatto che il 70% delle grandi imprese italiane dichiara di non disporre di un piano strutturato per l’IA e meno della metà delle imprese stanzia meno del 5% del budget destinato al digitale all’intelligenza artificiale. La giornalista, infine, ha chiesto a Donatella Busso come può questa nuova tecnologia impattare nelle aziende attraverso l’educazione nelle Università.
«Come Università abbiamo il dovere di insegnare il senso critico ai nostri studenti, perchè come dico sempre il mio obiettivo non è l’esame finale, sebbene capisca che lo sia per gli studenti, ma è far capire l’utilità di questo strumento. Certo è che tra qualche anno avremmo ragazzi e ragazze che usano applicazioni come chat gpt fin dall’infanzia o quasi e non avranno sviluppato il senso critico, dovremmo essere noi ad aiutarli a tirarlo fuori. Per quanto riguarda le imprese piemontesi e nazionale, invece, è evidente che se anche le grandi società italiane non investono per sviluppare questa tecnologia, figuriamoci se possano riuscire a farlo le Pmi. Pertanto è fondamentale che le nuove generazioni di manager conoscano il funzionamento dell’IA. Quando uso quello strumento devo essere in grado di fare le domande giuste e queste le posso fare solo se conosco bene il contesto economico. Come Dipartimento di Management cerchiamo di far crescere nuovi docenti che conoscano l materia, oltre a sviluppare legami con aziende che implementano la transazione digitale e dell’intelligenza artificiale. Ed infatti sempre più professori introducono nelle loro lezioni sull’IA spiegano non solo come utilizzarla, ma anche sperimentando, con l’ausilio di collaboratori esterni, come si comporta l’IA tra la domanda che le si porge e la risposta che fornisce. Abbiamo anche realizzato un seminario di 30 ore, con il supporto di una società esterna, aperto agli studenti della magistrale che hanno potuto sperimentare il suo utilizzo in vari campi, tra cui quello finanziario e del marketing. Noi quindi abbiamo il dovere di mettere a loro disposizione strumenti per capire come comportarsi con l’intelligenza artificiale e possiamo farci partner di nuovi progetti. In futuro il settore su cui impatterà maggiormente l’intelligenza artificiale riguarderà la consulenza e quindi per i commercialisti questo rappresenterà un cambiamento epocale. Sulla grande consulenza l’impatto sarà minore, ma sulle pratiche ripetitive esistono già numerosi strumenti, nemmeno troppo all’avanguardia, che coadiuvano l’attività del professionista. Agevolare questo cambiamento però, è fondamentale, come ha ricordato recentemente Mario Draghi.
Da sei o sette anni io faccio svolgere gli esami open book, perchè per me gli studenti possono usare il libro, in quanto il mio obiettivo è stimolare il pensiero critico in qualsiasi ambito di studio».
Direttore: DIEGO RUBERO
AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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