«Ho voluto incontrare l'assassino di mio figlio per raccontargli chi era James. Lui l'aveva ucciso senza conoscerlo. Non so se ho trovato pace, ma sono grata di avere potuto incontrare questa persona. Lui voleva dirmi che cosa c'era dietro l'omicidio di mio figlio e io volevo ascoltare Alexander». Lo afferma Diane Foley, madre di James Foley, giornalista americano decapitato in video dall'Isis in Siria, intervenendo a un incontro su «una giustizia capace di riparare le ferite del male», nell'ambito del Festival della missione nella chiesa di San Filippo Neri, a Torino.
«Quell'incontro - racconta - è stato molto triste, l'odio colpisce e devasta; noi abbiamo perso James e Alexander molto probabilmente non vedrà più la sua famiglia. La violenza porta violenza ed è importante ascoltarsi... Dio mi ha dato la forza di ascoltarlo. La fede mi dà la certezza, la speranza, che James vive in quello che facciamo. Lui voleva diventare un uomo di grande coraggio, è stato un uomo di pace e di giustizia, anche con il suo lavoro. E' stato coraggioso nel decidere di andare in un luogo così e lui mi sfida continuamente a usare la mia voce e la mia vita per il bene. Dio sfida ognuno di noi ad amare l'altro».
E James «amava i bambini, per molti anni ha lavorato in un'associazione che si occupava di bimbi con disabilita' mentali, di giovani con gravi problemi familiari e in un certo senso Alexander poteva essere una delle persone che avrebbe seguito e aiutato».
Continua Diane Foley: «James è morto per raccontare le sofferenze delle persone che abitano in Siria e oggi abbiamo bisogno di conoscere le storie delle persone che soffrono per aiutarle». Gli Stati Uniti, accusa Diane, non hanno fatto nulla per salvare il figlio, un bersaglio annunciato, in quanto americano e giornalista. Per questo, spiega, «abbiamo deciso di creare una fondazione: per incoraggiare la nostra nazione a riportare gli americani a casa sani e salvi, così come fanno i Paesi europei, capaci di intavolare negoziazioni con esiti positivi».
Dal 2015 «abbiamo aiutato 170 americani a tornare casa vivi. Un'altra cosa che facciamo e' quella di supportare la sicurezza dei giornalisti perchè di loro abbiamo bisogno per far sapere cosa accade nel mondo».
Diane è presidente e fondatrice della James W. Foley Legacy Foundation, istituita nel settembre 2014 dopo l'uccisione del figlio. Da allora è un'instancabile sostenitrice degli ostaggi, di coloro che sono detenuti ingiustamente e delle loro famiglie, operando nel sistema statunitense per il recupero degli ostaggi, al Congresso e con le amministrazioni presidenziali dal 2014 a oggi, sensibilizzando l'opinione pubblica sul fenomeno del sequestro internazionale e della detenzione arbitraria.
«Questi - conclude - sono tempi molto bui e il mondo è pieno di falsa informazione e di informazione pilotata. Dobbiamo fare la nostra parte per la verità, la speranza e la pace a farsi strada».