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Molti cittadini di Colloro soffrono di cecità genetica

A raccontarlo è il genetista Andrea Guala in una serata del Rotary Club Valsesia

30/10/2025
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Il dottor  pediatra e genetista Andrea Guala, socio del Rotary Club Valsesia, ha raccontato una curiosa quanto interessante storia che va indietro nel tempo e che ha preso origine addirittura all’inizio del 1600.
Andrea nel redigere l’anamnesi di un ragazzino ricoverato all’Ospedale di Verbania, per un caso di infezione da virus Covid nell’aprile 2020, viene informato dalla madre di una pregressa diagnosi di retinite pigmentosa, malattia genetica che conduce progressivamente alla cecità. 
Tale informazione suscitò immediata curiosità, e fece nascere l’opportunità di compiere una indagine clinica approfondita, pur in assenza di sintomi, anche per dare seguito alla giustificata preoccupazione genitoriale per la presenza di cecità in numerosi antenati affetti da questa malattia.
Si scopre così un’incidenza del tutto anomala di tale patologia, su una popolazione ristretta, che ha colpito nei secoli la gente di Colloro, un piccolo paese oggi di 300 abitanti della Val d’Ossola sopra Premosello.
Una zia del ragazzo, insegnante in pensione e storica appassionata, che ha fondato il Gruppo Premosellese di Storia ha avviato intense ricerche nelle anagrafi comunali e negli archivi parrocchiali raccogliendo in un database, la genealogia di 26000 persone a partire dal 1500. 
Risulta inoltre che già nel 1891 il professore oculista universitario Albertotti si era recato a Colloro e aveva visitato le persone affette da cecità con l’oftalmoscopio, strumento oggi d’uso comune e di minimo costo, ma allora di fresca invenzione e raro possesso e in tutti i casi aveva individuato proprio questa malattia che all’epoca era stata diagnosticata da poco.
A seguire l’Università di Pavia, ha condotto una ricerca genetica considerando che ad oggi si conoscono 125 mutazioni genetiche che possono dare la retinite pigmentosa, si è riscontrato un gene, il CRB1 sul cromosoma n. 1, che produce una proteina che serve a mantenere il corretto orientamento delle cellule nei tessuti, quindi anche nella retina. Senza questa proteina, le cellule muoiono progressivamente a partire mediamente dai 25 anni, fino all’estinzione completa e alla conseguente cecità.
Nella piccola comunità si è determinata nei secoli una generale consanguineità anche inconsapevole, che ha innalzato consistentemente la probabilità di ereditare la malattia anche da genitori sani portatori del gene recessivo responsabile.
Una notizia interessante è che due anni fa è stata scoperta in un coniglio la retinite pigmentosa da gene CRB1 e questo ha aperto il campo alla sperimentazione di terapie di contrasto alla malattia su animali anziché sull’uomo, quindi con procedure molto meno problematiche. 
I risultati degli esperimenti sono stati positivi determinando dopo due anni nell’animale trattato un parziale recupero della vista. La trasposizione sperimentale all’uomo non è immediatamente applicabile ma è sicuramente un primo passo verso l’obiettivo. Al momento la sperimentazione prosegue, pur con molta cautela a fronte di possibili effetti collaterali, quindi ciò porta un futuro di speranza per chi ereditando questa anomalia genetica finora di speranze non ne aveva.
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Cultura - Eventi, Torino
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