Del castello medievale di Bra, abbattuto nella prima metà del secolo XVI, esistono una miniatura, dei rilievi e delle tracce in un quadro.
La miniatura è quella del maestro Giovannino de Grassi, nel suo prezioso Codex Astensis, probabilmente tra il 1383 e il 1387. È impossibile, “leggendola”, capire quanto c’è di arte e di storia.
Il quadro è custodito nella chiesa dei Battuti Neri o San. Giovanni Battista Decollato. È un dipinto votivo seicentesco, un olio su tela, raffigurante Santa Barbara, con al centro la vista molto sintetica della città. Sullo sfondo, guardando a destra, appare, con pochi ma riconoscibili tratti, il castello sul Monte Guglielmo.
Andiamo sulle tracce e sull’ipotesi di un castello che non c’è più. Mi muovo con l’aiuto di una preziosa ricerca firmata da padre Isella; l’autore me l’ha consegnata, insieme a nuovi appunti, quando l’ho incontrato a Torino al Monte dei Cappuccini, dove mi ero recato per riprendere un cucchiaio dei Templari.
Ma torniamo alla chiesa della Confraternita. Eretta dopo il 1591 sull’area dell’antica piccola cappella di S. Barbara, era legata in origine anche alla chiesa del castello, dove per alcuni anni ebbe sede. Il dipinto, opera di Giovanni Antonio Croce, è datato 1662; è importante, più che per il valore artistico, perché costituisce un documento storico locale dove si tramanda la figura dell’antico abitato cittadino, come era ricordato dai braidesi in tempi ancora relativamente vicini. L’opera “narra” le vicende iniziali della Confraternita legata al castello e poi al quartiere cinquecentesco di S. Barbara.
La miniatura, invece, è stata riproposta in un’opera curata da Gian Giacomo Fissore. È riportata come immagine soltanto evocativa e perciò ritenuta “non verosimile” anche da Enrico Lusso nella pubblicazione dedicata a “Le origini di una Città.”
Il castello come simbolo di potere
La miniatura costituisce comunque la memoria visiva dell’antica fortificazione. Il castello appare stilizzato. Intanto dov’era? Verosimilmente sul monte oltre l’attuale Santa Chiara, verso ed intorno alla Zizzola. L’immagine rinvia agli anni della signoria di Gian Galeazzo Visconti sul comitato di Asti; in quegli ultimi decenni del Trecento, il vecchio castello dei de Brayda non costituiva più il perno difensivo della villa murata, ma svolgeva solo un ruolo di controllo per la sua collocazione sul colle. Vi potevano risiedere il castellano e un funzionario della signoria viscontea.
Viste le spese richieste dalla fortificazione in quegli anni, in questa luce la miniatura del castello può non costituire un disegno di sola fantasia e di gusto, ma può indicare invece alcuni essenziali dati reali della sua struttura e funzionalità, cioè ha del vero oltre che del verosimile.
II castello: rilievi e suggestioni dal Codex Astensis
Proviamo a cercare di capire com’era questo castello. Si rileva anzitutto che c’è un’unica struttura a pianta quadrangolare larga una decina di metri. Un complesso edilizio delimitato, non confondibile con un recinto fortificato di proporzioni molto superiori quale poteva essere l’intero borgo murato di Bra nella seconda metà del Trecento.
A ritenere di poter riconoscere tout-court nella miniatura trecentesca del Codex l’immagine del Castrum dei de Brayda fu, nel 1888, lo studioso braidese Antonio Mathis.
A proposito della storia, è certificato che l’antico Castrum feudale dei de Brayda nei secoli XII e XIII dominò Bra e il suo territorio, come detto, da uno dei poggi superiori del Monte Guglielmo; poi, dal secolo XIV, allontanati i de Brayda feudatari d’origine, si avviò verso un lento e progressivo declino. Nel 1515, l’ormai obsoleta fortificazione medievale venne così fatta smantellare da Carlo di Borbone conestabile di Francia; la struttura era ormai declassata da oltre cento anni e già sostituita per la difesa dal nuovo borgo-murato. Dal 1625 al 1802, l’area divenne il sito del nuovo convento dei frati Cappuccini insediati in Bra, vicino a Santa Chiara.
Nei quasi quattrocento anni di vicende cittadine, l’antico castello subì distruzioni parziali e alcuni adattamenti di cui sono rimasti pochi cenni.
A riportare l’attenzione sul dimenticato Castrum braidese fu, nel secolo XIX, l’importante ritrovamento del citato antico Codex astense. L’episodio inatteso, che riportò l’attenzione tra l’altro anche sul fortilizio medievale di Bra, come noto, avvenne nel 1876, quando l’allora ambasciatore del regno d’Italia a Vienna, Quintino Sella, ebbe la fortuna di ritrovare tra le carte dell’Archivio imperiale il Codex Astensis, detto anche Malabayla, opera oggi custodita nell’Archivio storico civico di Asti.
Sul finire del Trecento, il Codex rappresenta l’ultima redazione dei “Libri Jurium” del comune di Asti, contenente le memorie ufficiali, i diritti e i privilegi.
Tra l’altro, vi si ritrova l’essenziale e stilizzata raffigurazione del castello di Bra della quale stiamo parlando.
Dopo il 1876, anche a Bra, l’esame della ritrovata miniatura del Castrum divenne oggetto di confronti. A partire dal Codex Astensis, l’indagine conoscitiva della struttura del Castrum di Bra può essere approfondita aggiungendo, al già realizzato intreccio dei dati archivistici catastali e di quelli iconografici, una comparazione critica della successiva struttura conventuale dei frati Cappuccini. Del convento primitivo, eretto sul Monte Guglielmo a partire dal 1625, oggi, rimane visibile solo il vasto ambito recintato e un quarto del fabbricato; anche la chiesa che era dentro le mura del castello, demolita dopo il 1810, è scomparsa; si osserva, infatti, soltanto un resto del corpo di fabbrica, la cui immagine non figura pertanto nei rilievi della metà del Seicento compiuti da Giovenale Boetto. Quanto rimane del convento, è un’abitazione privata da oltre due secoli. Riguardo al precedente castello, come anticipato, nulla si può oggi rilevare a vista della sua struttura; la restante sofferta muraglia rettilinea orientale a terrapieno, che costeggia oggi la strada Fey, ne è tardo epilogo, non sembra possa risalire che a partire dal secolo XV, quando l’orgoglioso Castrum appare già ridotto al modesto “castelerium” di S. Maria.
Il castello e la chiesa di Santa Maria, spunti e riferimenti possibili
Nel trecentesco Codex astigiano (ben riprodotto nel modellino conservato negli archivi del Comune di Bra, regalo dei Cappuccini) ci sono tre torri ed una chiesa, quella di Santa Maria al castello.
La collocazione sul colle e la sua struttura garantivano al castello un’ottima funzione di difesa.
«L’insieme appare significativo - spiega padre Isella - e fu opportunamente messo in evidenza da Giuseppe Gullino nel 1975 nello schema ricostruttivo di Bra medievale e delle sue fortificazioni, accolto dall’archeologo e storico Edoardo Mosca. L’orientamento del riquadro di pianta mostra anche che il castello aveva la cortina settentrionale a fronte di un vicino poggio più elevato del Monte Guglielmo (metri 374 s.l.m.), divenuto in seguito il sito della Zizzola, disposto a circa duecentocinquanta metri a nord-est del Castrum». L’incombere di questo più alto pianoro vicino al castello costituì, nel tempo, insieme all’assenza di acqua sorgiva sul colle, uno dei punti deboli della struttura e un fattore di rischio in caso di assedio; così, in particolare con l’avvento delle armi da fuoco, questo sito più elevato, come noto, venne fortificato con la bichoca Montis, sorta di “rivellino” A proposito della cisterna grande, struttura strategica indispensabile per la sopravvivenza del castello, è probabile che la stessa sia divenuta in seguito quella del convento; lo proverebbe, infatti, la corrispondenza funzionale della sua collocazione nel luogo, come già si è rilevato a Torino per il convento del Monte dei Cappuccini. Dalla miniatura trecentesca si rileva, inoltre, che la muratura della cortina si innalzava mediamente dal suolo circostante tra i sette e i nove metri in altezza; si osserva che la fortificazione disponeva di tre alte torri angolari.
Alla prima si perveniva uscendo dal borgo attraverso la porta Castri per la via ad Castrum; era una torre-porta di cortina, includeva e dominava l’accesso al castello, come appare nel Codex.
Il castello, come detto, aveva tre torri: una angolare; la seconda invece costituiva l’angolo sud-orientale. Era una caratteristica torre detta a “donjon”, ancora a pianta quadrata e alquanto più grande, con il lato di circa dodici metri. Il perimetro murato di questa torre appare più elevato, ed era rivolto verso Pocapaglia, a levante; per le caratteristiche rilevate poteva costituire, come d’uso, l’abitazione del signore; non a caso, nella miniatura, il pennone con la bandiera del castellano di Bra svetta su questa torre.
La terza e ultima torre sorgeva all’angolo sud occidentale, doveva quindi essere una semplice torre di vedetta. In sintesi: la torre del donjon era molto probabilmente riservata come residenza ufficiale del castellano; mentre quella di vedetta, necessaria per comunicare con Pollenzo, poteva essere riservata ai servizi della piccola guarnigione e fungere da carcere. La torre-porta, invece, poteva avere diretto riferimento anche con le necessità di vita e di culto del sottostante quartiere di Santa Maria.
Ancora a proposito della chiesa romanica di Santa Maria, le note d’archivio dei Cappuccini indicano che l’antico edificio fu utilizzato dai frati a partire dall’inizio della loro presenza sul colle e cioè dal 1625 fino al 1634.
Era la cappella del castello ed in essa officiava il priore di sant’Andrea.
Sulla collocazione della chiesa antica di Santa Maria, occorre riferire la dettagliata e sicura descrizione fatta dal Mathis, dove attesta “essere stata anticamente fabbricata… in un bivio, che a sinistra metteva alla vetta del colle (oggi Zizzola) ed a destra menava a Pocapaglia (attuale strada Fey)”. Di fatto oggi, dal bivio citato, il percorso comincia con il cancello privato alla sinistra, sono le poche decine di metri della stradina interna alla proprietà che salgono all’attuale abitazione; era questo molto probabilmente il tracciato del viottolo che in passato saliva all’antica chiesa, dove da settentrione, superata la torre-porta del castello, si giungeva al piccolo sagrato di Santa Maria”.
Una chiesa ed un castello che non ci sono più.