Raffaele Romito è specialista in Chirurgia Generale.
Si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Milano nel 1991, conseguendo poi la specializzazione nel 1996 in Chirurgia Generale presso la medesima Università.
È un Chirurgo con maturata esperienza nella Chirurgia d’Urgenza, nella Chirurgia Oncologica dell’apparato digerente e nella Chirurgia dei Trapianti, sia clinica che sperimentale e può vantare l’effettuazione in qualità di primo chirurgo di più di 1000 interventi di alta complessità in Chirurgia dell’Apparato digerente e nei trapianti di Fegato.
Per 18 anni ha svolto attività a tempo pieno nell’ambito della struttura ad alta complessità ed elevata specializzazione di Chirurgia Epato-gastropancreatica e Trapianto di fegato presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, che rappresenta uno dei Centri di riferimento Nazionali ed Internazionali per la Chirurgia epato-biliare e per il trattamento dei tumori Neuro-endocrini del distretto gastroenterico.
Da sei anni ricopre il ruolo di Direttore della Chirurgia Generale 2, una Struttura Complessa a Direzione Ospedaliera collocata presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità di Novara. Qui ha creato il centro di chirurgia Mini-Invasiva per il fegato e il pancreas eseguendo numerosi interventi con metodica sia laparoscopica che robotica
Infine, è sempre stato attivo in ambito della ricerca e della sperimentazione clinica, con partecipazione in qualità di responsabile e corresponsabile a numerosi protocolli scientifici ed ha partecipato in qualità di relatore e/o moderatore a numerosi congressi scientifici nazionali ed internazionali . È autore di oltre 100 pubblicazioni inerenti la Chirurgia Oncologica Epato-gastro-pancreatica, quella dell’apparato digerente ed i trapianti d’organo quali fegato, polmone e intestino.
Il futuro della sanità, come lo vedi?
Incerto. Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) arranca ed il privato non è in grado di sostituirsi ad esso per la limitatezza delle sue infrastrutture, per la sua vocazione al profitto e per il suo scarso interesse in un welfare generalizzato. Inoltre, manca da parte della governance politica la volontà/capacità di fare scelte necessarie, ma impopolari. Scelte in grado di riorganizzare la rete assistenziale sulla base di progetti e di dati che giustifichino l’allocazione delle poche risorse esistenti. Veneto, Toscana ed Emilia Romagna le hanno già fatte e hanno svoltato. La regione Lombardia le sta attuando. Il Piemonte come molte altre regioni italiane sta per ora a guardare.
Cosa ci aspettiamo dalla nostra governance in termini di sanità e welfare?
La generazione alla quale apparteniamo è stata abituata a ricevere garanzie ed assistenza per tutto, spesso sfruttando il concetto di universalità delle cure presente nella nostra Costituzione declinato secondo convenienza. Oggi questa universalità nelle cure, nell’istruzione, nell’assistenza sociale è in grave pericolo, minacciata da una crisi culturale, economica e demografica che rendono queste conquiste del passato difficilmente sostenibili. A ciò si aggiunge una tendenza globale nel sostenere modelli politici autarchici e clientelari che spingono sempre più le scelte verso una società diseguale.
Difendere l’uguaglianza sociale e i diritti/doveri conquistati nel passato rappresenta il compito principale della nostra generazione. Un compito, questo, complesso reso ancora più difficile dalla nostra abitudine a considerare ogni problema che non ci coinvolge in prima persona, come un problema di altri, quindi non meritevole del nostro impegno.
Modelli virtuosi di riorganizzazione della Sanità in Italia esistono: quello Veneto per esempio; oppure quello Emiliano.
Il primo è responsabile del successo che i suoi ospedali stanno riscuotendo sia in termini di soddisfazione dei cittadini per l’organizzazione dei servizi, sia per la qualità delle cure erogate; sia infine per i successi nella ricerca scientifica. Dal quadro descritto, dopo anni di supremazia, manca, incredibilmente, la Lombardia impegnata come è a risolvere una importante crisi di valori e di identità.
Di cosa oggi ha bisogno una buona sanità?
Prima di tutto di rispondere in modo rapido, efficiente ed efficace alle preoccupazioni e alla istanze di salute dei cittadini evitando a questi ultimi viaggi della speranza, code agli sportelli per essere poi rimbalzati a destra e manca con informazioni non corrette e spesso contradditorie o fuorvianti (come nel recente caso dei CUP regionali) e date per visite/esami fissate non a distanza di mesi o anni.
In secondo luogo, di rendere il sistema più dinamico. Non è accettabile richiedere un apparecchiatura o la copertura di un posto di lavoro in organico oggi ed attendere da 6 mesi ad un anno per ottenerla/o, mentre nel privato-convenzionato, tutto ciò è risolto in poco tempo. Oppure, cosa ancora più grave, che esistano, all’interno di una stessa amministrazione o di un territorio comune, costosi sistemi operativi che tra loro non comunicano e non si integrano, costringendo il personale ad aprire e chiudere in continuazione applicativi per consultare singoli dati relativi ad uno stesso paziente. Un popolo, del resto, non si caratterizza forse anche per la lingua che adotta per comunicare? Quindi anche i sistemi devono comportarsi allo stesso modo e usare una stessa lingua.
Ma come si può perseguire, oggi, una buona sanità? Forse riducendo le influenze operative della politica e attribuendo il ruolo di gestione economica e scientifica delle strutture sanitarie territoriali, ospedaliere e universitarie a chi ha le capacità e l’esperienza per farlo. La politica deve uscire dalla organizzazione-gestione delle Aziende Ospedaliere e della medicina territoriale ed assumere il ruolo che le compete: di Decisore della organizzazione strategica della Sanità (dal punto di vista normativo, esattamente come nel 1992) e di Garante del rispetto di questi requisiti attraverso il controllo delle performance conseguite dalle strutture che per esercitare dovranno accreditarsi.
Il compito dello Stato dovrà essere, quindi, quello di stabilire gli standards qualitativi dell’assistenza e il modello di controllo relativo all‘osservanza di questi obiettivi. Compito delle strutture Sanitarie (Ospedali e strutture territoriali), dovrà, invece, essere quello di accreditarsi rispondendo ai relativi requisiti.
Accanto alla ridefinizione della rete assistenziale l’altro problema da risolvere è quello che riguarda il ruolo delle differenti figure professionali che agiscono in sanità.
In questi anni il ruolo del medico, dell’infermiere e dei tecnici sono stati demansionati, delegittimati nella loro autorevolezza e nella loro attività quotidiana. Tutto è stato livellato verso il basso dividendo e mettendo in competizione le diverse categorie. Questo, associato agli scarsi livelli di retribuzione previsti dal contratto e non allineati a inflazione e caro-vita ha causato la perdita di vocazione alle professioni sanitarie a cui stiamo assistendo
Cosa chiedono gli utenti?
Fondamentalmente un sistema credibile, dove a fronte di un bisogno esista un’interfaccia che ti indirizzi verso il percorso più appropriato, senza essere rimbalzato da uno sportello all’atro, ricevendo informazioni contradditorie o fuorvianti (come nel caso dei CUP regionali).
La standardizzazione delle competenze mediche e infermieristiche che negli anni è stata compiuta dalla governance politica ha portato a limitare le capacità professionali di questi professionisti in ambiti ristretti. La diretta conseguenza è stata la mancata crescita di competenza e di visione di insieme che lo specialista di oggi ha con un aumento della richiesta di consulenze, di esami strumentali e con una minor integrazione del sapere e una minor efficacia terapeutica.
La difficoltà di reperire i medici: perchè?
“Neanche il cane muove la coda per nulla”…..
La professione medica è una Professione vera, cioè un’attività imprenditoriale complessa in cui capacità manuali, intellettuali, etiche vengono sviluppate nel corso degli studi che durano in media 10-12 anni. Queste qualità vengono successivamente affinate dall’acquisizione di una capacità di lettura e di analisi della realtà rigorosa che rende questa professione peculiare.
Quello descritto è , però, solo l’inizio di un processo che dura tutta la vita professionale (e oltre).
A fronte di questo lungo percorso e di questo impegno, che non è solo di crescita personale ma anche economico, quali sono le prospettive professionali, retributive e quindi anche di affermazione sociale? La risposta sta nel numero dei medici e di infermieri che si licenziano dal pubblico e dalle strutture sanitarie private: chi per aderire a cooperative; la maggioranza per andare a cercar fortuna all’estero.
Molti degli studenti che ho formato nel corso della mia carriera lavorano oggi chi negli USA, chi in Canada, chi in Inghilterra, Germania, Norvegia, Danimarca, Svizzera. Questi ultimo 3 stati, in particolare, presentano il miglior mix di professionalità, chance di carriera, produttività scientifica, retribuzione e qualità di vita. Nessuno di loro è più tornato né tornerà in Italia, se non per trovare i parenti.
La realtà è che il medico non è più rispettato e non rappresenta più un modello sociale ambito. Una volta esponevamo con orgoglio il distintivo di Medico sul parabrezza delle auto. Oggi nessuno lo fa più e quando l’altoparlante chiede se “c’è un medico in sala”, facciamo tutti a gara per nasconderci. Fare il buon samaritano porta quasi sempre guai, soprattutto di tipo medico-legale, oltre a perdere in attese e inutili burocrazie il poco tempo libero a nostra disposizione
Tra i giovani, comunque, la professione Medica è ancora una professione gettonata: ma aumentare il numero di ingressi non aiuterà a colmare le carenze che ci sono. Perché la maggior parte di questi ragazzi andrà comunque all’estero o si orienterà verso specializzazioni che li renderanno liberi di svolgere la propria professione autonomamente, lontano dalle logiche aberranti che governano gli ospedali e le ASL/ASTL. Avremo quindi tanti plastici, dermatologi, oculisti, ginecologi otorinolaringoiatri, radiologi e zero anatomopatologi, chirurghi, radioterapisti, medici d’urgenza, MMG.
Come invertire la tendenza? Riqualificando la professione. Pagando il dovuto ad ogni professionista, anche attraverso incentivi legati alla realizzazione di progetti (merito); sbloccando le carriere, come previsto dalla legge Bindi. Adeguando gli organici in modo da poter garantire ai professionisti anche una vita privata, cosa che oggi ci è negata per esigenze di servizio e per garantire i LEA.
Per non parlare dei costi che sosteniamo per le assicurazioni professionali personali che in qualità di dipendenti non possiamo dedurre fiscalmente e che valgono circa una nostra mensilità.
Invertire la rotta non è difficile dal punto di vista pratico. Lo è da quello politico: è meglio che tutti siano allo stesso livello, anche se basso, perché, come affermava “Syndrome”, il “cattivo” de “Gli incredibili” (film di animazione del 2004 della Pixar Animantion): “se tutti sono speciali, allora nessuno è speciale”.