La sanità sta attraversando un’epoca difficile: ci sono sempre meno medici e infermieri e le liste d’attesa lunghissime creano un forte malcontento in tutti i cittadini. Come se non bastasse, sempre più spesso apprendiamo dalle fonti di informazione di aggressioni nei confornti degli operatori sanitari nei Pronto Soccorso di tutta Italia.
Pertanto, abbiamo deciso di intervistare il dottor Maurizio Ippoliti per fare il punto sulla situazione e fornire alcuni chiarimenti da parte di chi vede tutto questo quotidianamente.
Nel 2020 in televisione e sui giornali i medici erano considerati eroi, mentre oggi (venite aggrediti negli ospedali) la percezione è che non siete più tali ma l’opposto. Ha provato a darsi una spiegazione sul perché di questo triste fenomeno?
Questa è una domanda davvero molto difficile cui rispondere e più volte siamo noi stessi operatori sanitari a stupircene. Non sono qui a valutare ragioni assolute, ma ritengo che probabilmente quello del Covid sia stato “qualcosa di nuovo per entrambi gli attori coinvolti” ...personale sanitario e pazienti. E dunque quel senso di impotenza che pervadeva entrambi in quei giorni, al tempo stesso ci ha accomunato, legandoci e supportandoci l’un con l’altro: i pazienti, riconoscenti ai sanitari che insieme rischiavano la propria vita per salvare la loro e i sanitari che pur sapendo ciò cui sarebbero potuti andare incontro hanno continuato ad adoperare il proprio impegno e le proprie risorse.
Credo che questo esperienza condivisa e vissuta insieme, quotidianamente e per tanti mesi, anni, sia stata la vera motivazione che abbia portato i pazienti a definirci i eroi …angeli custodi.
Cessata l’emergenza e cessato dunque il coinvolgimento emotivo, la problematica sanitaria è tornata ad essere, per fortuna solo in rari casi, oggetto di critiche legate ad una visione non condivisa (come invece era durante l’emergenza covid) tra le due parti.
L’altra situazione di cui si parla molto è la questione relativa alle liste d’attesa. Non voglio un suo parere su come risolverebbe la questione, ma su quanto sia difficile gestirla a livello umano e cercare di spiegare la situazione a chi ha bisogno di una visita.
Quello delle liste d’attesa è un problema esistente da molto tempo ma che si è esacerbato dopo la fine del Covid . Durante tale periodo per via del “rimanete a casa per evitare contatti”, si lasciava spazio solamente alle prestazioni con codice di priorità B (breve, da esaudire entro 10 giorni) e a quelle con codice di priorità U (urgente entro 72 ore) mentre le prestazioni D (entro 30 giorni le visite ed entro 60 le prestazioni) e le P (programmabili) furono sospese.
Il gap rimasto dopo la fine, dell’emergenza del covid, ha richiesto anche un recupero di tali “prestazioni non urgenti”, ad esempio controlli periodici, annuali o semestrali (eccezion fatta per il follow up oncologico che, almeno in ASL Cn1, ha mantenuto puntuale il proprio percorso) con la conseguenza che, vista anche la grave … gravissima… carenza di medici e d’infermieri, tali prestazioni sono rimaste indietro ed inevase o non più richieste. Ovviamente tale ritardo, non è stato possibile esaudirlo nei tempi previsti (10 gg appunto) ed allora le ASL ,anche su mandato Nazionale/Regionale, hanno messo in campo ogni sforzo e strategie possibili : ad esempio pagando i sanitari per eseguire sedute di esami o di interventi chirurgici extra orario di servizio, aprendo giorni in più di attività (anche in giorni festivi) dedicati proprio al recupero delle liste d’ attesa o con i c.d. “percorsi di tutela del cittadino” per una loro presa in carico ed una risoluzione del problema. In ASL cn1 in un anno e tre mesi, sono stati attivati circa 1500 “percorsi di tutela del cittadino” con evasione delle richieste ricevute, prevalentemente all’interno dell’ASL di appartenenza e in alcuni casi presso le altre ASL regionali.
Lei mi chiedeva quanto sia difficile gestire tale situazione a livello umano? Non difficile…difficilissimo! I pazienti sono giustamente esasperati dalla necessità di eseguire tali visite nei tempi previsti dalla legge e possibilmente nella ASL di appartenenza e non a distanza di 200 o 300 km. Hanno ragione ma chiediamo ai pazienti di rendersi anche conto degli sforzi messi in atto dalle ASL e dalle aziende sanitarie affinché vengano assistiti ugualmente nel migliore e più efficace dei modi.
Nel ringraziarvi per avermi dato l’opportunità per tale chiarimento, tengo a precisare che proprio perché abbiamo scelto noi questa professione debba essere primariamente cura di noi sanitari essere collaborativi al massimo con i pazienti, magari dando una spiegazione in più piuttosto che una in meno alle loro richieste, armandoci, di ogni forma di più grande comprensione, pazienza e collaborazione. E se a volte i pazienti ci mandano a quel paese… dobbiamo comprenderli. Ma posso dirle una cosa a riguardo? Da 27 anni lavoro in ASL Cn1 per i presidi ospedalieri Mondovì/Ceva e mi sono capitate situazioni del genere ma…forse per mio personale carattere che in ciò mi agevola molto e per una personale conoscenza del territorio e delle persone (sono qui a Mondovì dal 1998 come medico dirigente dell’Asl Cn1e dal 2017 anche consigliere comunale con incarico alla sanità) sono sempre riuscito a farmi capire e il più delle volte a trovare rimedio a tali spiacevoli situazioni spesso chiamato in causa da entrambi i protagonisti delle controversie, pazienti e colleghi sanitari. L’importante è non sbagliare mai l’approccio e le garantisco che il più delle volte si finisce con il ringraziamento reciproco e una stretta di mano. Ma, ripeto, spetta a noi sanitari lo sforzo di essere benevoli e comprensivi anche perché’ questo fa parte delle nostre mansioni. Su questo punto sono sempre stato categorico, con me e con i miei colleghi.
In futuro la vostra professione vivrà un periodo più roseo o si prospettano tempi ancora difficili, tra scarsità di personale e aggressioni in pronto soccorso?
Riguardo la scarsità del personale sanitario, c’è da dire che in ambito Europeo, l’Italia non è poi così messa male. Infatti è al secondo posto dopo la Svezia per numero di medici iscritti all’albo professionale con un numero di oltre 415 mila unità. Di questi circa 60 mila sono pensionati e circa 30 mila esercitano nel privato e il numero dunque scende a circa 325 mila di cui il 30% circa opera al di fuori del SSN tra attività all’estero, attività libero professionali ed attività private. Quindi i medici veramente attivi nel SSN si riducono a poco oltre i 227 mila circa.
Riguardo gli infermieri, ce ne sono circa 280 mila con un incremento di cica 9 mila unità in più rispetto il 2019 ma ancora insufficienti :6,86 infermieri ogni 1000 abitanti lì dove il tasso europeo è di 8,26. In più entro il 2035 sono previsti circa 78 mila pensionamenti.
Migliore la situazione degli OSS circa 78 mila (in incremento) e più che raddoppiati rispetto al 2013 con un tasso di 1,3 ogni 1000 abitanti, anche se entro il 2035 sono previste circa 26 mila pensionamenti.
Ovviamente c’è da chiedersi il perché di questa riduzione di numeri. Sicuramente gli stipendi relativamente bassi per la mole ed il tipo di lavoro esercitati (i più bassi in Europa comunque). In fondo l’abbiamo visto con i cosiddettimedici gettonisti delle cooperative il cui compenso per un turno di 12 ore in pronto soccorso ben si differenziava da quello del collega dipendente del SSN della sala accanto, di almeno 4 volte in più a parità di tipo di lavoro e di ore lavorate.
I turni estenuanti, i sempre più frequenti burn out del personale, i rischi professionali che si vivono in prima persona, hanno portato ad una disaffezione verso tali professioni e la riprova l’abbiamo sui posti che vengono lasciati liberi nelle scuole di specializzazione: tra i più significativi quelli delle specializzazioni in medicina d’emergenza / urgenza che nel 2025 su 954 posti banditi ne sono stati coperti soltanto 537 (il 56%). Bisognerebbe dunque pagare di più, valorizzare ed apprezzare chi si lascia prendere ancora dall’emozione di fare il medico o l’infermiere, per passione e per la soddisfazione di poter dire a sé stessi e in silenzio “oggi ho salvato una vita umana”.
A proposito di burn out, contratti temporanei, e orari di lavoro prolungati, in uno studio dell’Oms Europa, è emerso che il 24% dei medici e degli infermieri Italiani, mostrano sintomi compatibili con disturbi d’ansia, mentre la depressione riguarda il 28% e il 32% e che un medico su 10 e un infermiere su 10 ha avuto idee suicidarie nelle due settimane precedenti l’indagine. Per l’OMS affrontare la crisi significa agire su diversi fronti: stipendi più adeguati, turni più prevedibili, gestione equa degli straordinari, riduzione dei carichi di lavoro, supporto psicologico e monitoraggio costante del benessere del personale.
Riguardo le aggressioni al personale del Pronto soccorso e sanitario in genere …che dire? Viene auspicata l’introduzione di guardie armate in tutti i P.S. aziendali necessarie a garantire condizioni di lavoro in sicurezza per chi ogni giorno con il proprio lavoro, salva vite umane. Ben vengano e speriamo il prima possibile. Spiace quando la percezione del lettore o dell’ascoltatore è volutamente distorta, con ragionamenti ed affermazioni lontani dal lavoro dei sanitari. Al centro c’è e dev’esserci sempre la cura del paziente. Altri ragionamenti offensivi non sono da prendere minimamente in considerazione.
E che dire di certe pubblicità che è possibile trovare oltre che sui social, anche in prossimità degli ingressi dei presidi ospedalieri e che recitano: “Sei stato vittima di un errore medico? Rivolgiti al nostro studio legale. La consulenza è gratuita e ci pagherai solo se verrai risarcito”.
Siamo ben consapevoli che un nostro errore può comportare un grave nocumento o la morte di un essere vivente ma, sicuramente non c’è una volontà in ciò, tant’è che il contenzioso penale, nel 97% dei casi finisce con un proscioglimento, mentre il 66% delle richieste civili promosse dai pazienti vengono respinte. A tal proposito vorrei anche sottolineare che l’Italia, insieme alla Polonia e al Messico, fa purtroppo ancora parte di quei paesi in cui l’atto medico “passa” attraverso il codice di Procedura penale. E perché questo? Forse perché i tempi della Giustizia Civile sono così lunghi che attraverso il passaggio in ambito penale i processi vengono così velocizzati? O forse perché’, depenalizzare l’atto medico potrebbe comportare una perdita di stima verso chi lo fa e quindi creare una perdita di consensi al momento giusto …visto che si tratterebbe di delegittimare ciò che ad oggi viene ritenuto a tutti gli effetti un reato?! Ma vogliamo iniziare a farla la differenza tra chi al mattino o in piena notte si alza dal proprio letto per prendere in mano un bisturi e cercare di salvare una vita e chi invece al mattino o di notte, faccia la stessa cosa per prendere in mano un coltello e porre fine volutamente alla vita di un altro essere umano?!
Io credo che, oltre alla sicurezza armata nei pronti soccorso, bisognerebbe che a livello nazionale ci fosse un autorevole anzi, mi consenta, autoritario invito ad abbassare i toni. Uno di quegli inviti, per capirci, che sa fare con elegante fermezza il nostro Presidente della Repubblica (di cui mi fregio essere concittadino) Sergio Mattarella.
Infine, cosa consiglierebbe a chi è incerto se intraprendere o meno una professione sanitaria?
Di farlo senza ripensamenti se sentono quella voce da dentro che li spinge a farlo
Di tenere sempre a mente e di fare proprio il monito del nostro maestro Ippocrate, che già 2500 anni fa esortava i propri discepoli che si accingevano “a curare le ferite del corpo, a non guardare se il loro paziente fosse ateniese o spartano perché’ la loro professione era sacra in quanto a servizio della vita”.
Di non farsi prendere ad inizio professione, da quella che io definisco la “sindrome da Padreterno”, mantenendo sempre umiltà, consapevolezza e giustificato dubbio. Si ricordino che è meglio “agitarsi nel dubbio che riposare nell’errore” e che bisogna sempre condividere con gli altri colleghi le proprie ipotesi diagnostiche e gli eventuali trattamenti prendendo sempre in considerazione le altrui opinioni.
Di non farsi prendere dallo sconforto quando per un proprio errore, le cose non andassero bene per il proprio paziente, ricordando loro, che “Il medico più bravo è quello che sbaglia meno degli altri”
Mi permetta in conclusione di rammentare a chi leggerà queste righe che noi sanitari al contrario di quanto si pensi, siamo molto vulnerabili dal punto di vista umano, perché nel cercar sempre di salvaguardare “il bisogno di salute” altrui, non riusciamo a non rimanere emotivamente coinvolti, dolorosamente consapevoli di non essere sempre all’altezza delle aspettative dei nostri pazienti e per questo, credetemi, la nostra angoscia è immensa.
Non a caso qualcuno ci ha definiti “guaritori feriti”.