La piccola proprietà rurale alla base dello sviluppo delle Langhe

La svolta grazie a un modello economico diverso da quello fordista prevalente nel Nord Ovest

Alessandro Marini 15/11/2025
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Le Langhe oggi sono uno dei territori più ricchi del Piemonte e tra i luoghi più conosciuti e iconico al mondo, ma non sempre è stato così.
Nel capitolo 107 del volume «Il presente e la storia» si tratta un argomento interessante, quello dello sviluppo economico della Langa che seguì un modello capitalista unico e diverso da quello di stampo fordista, prevalente nel Nord-Ovest e in particolare a Torino.
Dal Medioevo e fino agli anni Quaranta del secolo scorso però, le Langhe erano terre povere, isolate e scarsamente abitate, come ben descritto da Beppe Fenoglio ne «La Malora». Inoltre, erano un territorio fortemente soggetto a siccità.
In ogni caso, quattro quinti della popolazioni erano impiegate nel settore primario, perlopiù di sussistenza e come scrisse il geometra Fantino «il fattore economico prevalente era quello de lavoro dell’uomo e raramente il capitale, l’intelligenza applicata all’agricoltura».
Nondimeno, nonostante le difficoltà della terra in cui abitavano, la condizione dei contadini delle Langhe è descritta da Fantino come florida, in quanto generalmente erano senza debiti, possedevano abitazioni decenti, erano vestiti bene e avevano una dieta semplicissima, ma sufficiente, sana e igienica.
In ogni caso, fino alla metà del secolo scorso, le condizioni dei langaroli erano tutto tranne che buone. Le emigrazioni, anche solo stagionali verso la pianura o Torino, erano un elemento ben presente in quella realtà, oltre a quella verso le Americhe che si accentuò verso la fine dell’Ottocento.
Tuttavia, insieme ad altri fattori, le cause del sottosviluppo saranno poi quelle che faranno la fortuna di questa terra, ossia la piccola, anzi piccolissima proprietà terriera (che fu anche la forza della Repubblica romana, così come di qualsiasi stato florido nel nostro mondo moderno). Fantino indica che l’88% della popolazione rurale fosse proprietaria della terra che lavorava.
Le motivazioni dietro a questa situazione unica a livello nazionale, basti pensare ai grandi latifondi del meridione, è forse da ricercare nell’alienazione dei beni ecclesiastici operata dallo stato sabaudo.
Inoltre, i langaroli, come in generale molti cuneesi, erano estremamente propensi a reinvestire i loro risparmi in nuovi appezzamenti di terra, anche a costo di sopportare fatiche e privazioni tremende e quindi al rifiuto di qualsiasi lusso. Insomma, si trattava quasi di una mentalità protocapistalista, incentrata al reinvestimento continuo.
Questa mentalità riguardava qualsiasi componente della famiglia, dal padre che nei mesi invernali si trasferiva in Provenza per lavorare come manovale, giardinieri, minatore, ai figli che andavano a fare i garzoni o a trasferirsi alcuni anni nelle Americhe, mentre se femmine si mettevano a servizio di qualche famiglia benestante, così come la madre che poteva lavorare presso le industrie locali.
Dietro a questi sacrifici si celava il desiderio di affermarsi all’interno della propria comunità.
Insomma, dietro al futuro successo della Langa c’erano anche alcuni principi cardine dell’imprenditorialità, quali l’accumulo di capitale, anche se di modeste quantità e all’etica del lavoro.
Chiaramente, tra le altre cause che porteranno allo sviluppo di quest’area della Granda, non può non essere citato il ruolo che ebbe Camillo Benso Conte di Cavour che da sindaco del paesino di Grinzane diede un fortissimo impulso alla sperimentazione di nuove tecniche di coltivazione, vendemmia e lavorazione, volte a migliorare la qualità e la conservabilità dei vini. Inoltre, da ministro, quando si verificò la prima epidemia di crittogama dell’uva, trovò la soluzione nello zolfo. Si può dire, perciò, che con Cavour si gettarono le basi per la tradizione vitivinicola delle Langhe.
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AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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