Michele Brondino non avrebbe bisogno di presentazioni, ma per chi non lo conoscesse è stato docente, storico del Mediterraneo contemporaneo, ex direttore degli Istituti Italiani di Cultura e addetto culturale in vari paesi del Mediterraneo. Inoltre, ha pubblicato numerosi volumi tra cui Algeria, paese delle rivoluzioni, Il Grande Maghreb: mito e realtà, La stampa italiana in Tunisia, Il Nord Africa Brucia all’ombra dell’Europa, Stranieri nell’Albania Rossa. Ha diretto e curato, in collaborazione con Yvonne Fracassetti, Il Mediterraneo vede, scrive, ascolta e Il Mediterraneo: figure e incontri. Infine, gli è stato anche attribuito, per i suoi studi sull’area mediterranea, il Premio nazionale per le Scienze Sociali dall’Accademia dei Lincei.
Michele Brondino è un classe 1934 ed è nato a Fossano, dove risiede ancora oggi. Nacque in una famiglia di campagna, nella frazione di San Sebastiano. I genitori avevano sette figli, tre maschi e quattro femmine. Gli anni spensierati a giocare e divertirsi nei campi, assaporando l’aria della libertà finirono troppo presto. Infatti, il padre morì nel 1941 e la madre, dovendosi occupare della cascina, non poteva più badare ai figli e perciò fu costretta ad affidarli al collegio cittadino. Michele e Giovanni finirono quindi in orfanotrofio, Istituto gestito da suore. Il più grande invece, di nome Giuseppe, fu mandato a lavorare. Poco dopo essere arrivati, Giovanni di tre anni più grande, lo convinse a fuggire dal collegio per ritornare dalla madre. Tuttavia, la loro fuga non poteva essere duratura e vennero riportati in quel luogo per loro nemico. La punizione per quel comportamento fu estremamente severa, anzi crudele. Non solo dovettero andare a dormire per una settimana senza cena, dormire su assi di legno e obbligati a rimanere contro un muro a guardare gli altri bambini giocare nel cortile. Infatti, ad entrambi vennero legate le mani dietro la schiena e poi gli fecero tenere le mele che la nonna aveva portato loro dopo una visita. Una vera e propria tortura psicologica, dal momento che dovettero sopportare il fatto che gli altri bambini gli andavano vicino e mangiavano le mele a morsi.
Le disgrazie familiari però non finirono lì e nel 1942 persero anche la madre. Lo zio divenne il loro tutore che però gli permise di studiare con i soldi ricavati dalla vendita della cascina ed infatti Michele riuscì persino a laurearsi all’Università di Torino. Ciò grazie a figure generose e aperte come quella del direttore don Andrea Panero che seppe capire le esigenze di un’educazione più illuminata e umana e assicurò a Michele la sua fiducia e il suo sostegno per portare avanti i suoi studi.
Quello del collegio era un mondo chiuso, separato da tutto ciò che accadeva fuori, persino durante un conflitto mondiale. Infatti, Michele non ricorda fatti significativi della guerra, anche se ovviamente fu per lui un periodo infelice. Nondimeno, in lui riaffiorano alcuni episodi come le incursioni aeree, in particolare il bombardamento della stazione di Fossano, in cui i bambini venivano portati nei sotterranei dell’istituto, ma per loro era più un’ occasione di festa e gioco che di paura e sofferenza. Tra le tante sfortune però, almeno in collegio, non si faceva la fame, tranne nel caso di punizione ovviamente. Infatti, l’orfanotrofio poteva contare sulle rendite provenienti dalle sue numerose cascine.
Per Michele Brondino questa infanzia fatta di sofferenza e chiusura fu un incentivo per superare le chiusure materiali e affettive, per aprirsi al mondo e al confronto con gli altri.
Alessandro Marini
In foto Michele Brondino