Dopo il «Mein Kampf» e «Wonder Woman», arrivano Ionesco e Pasolini

Domani, sabato 18 gennaio, la comicità surreale di Eugène Ionesco prenderà vita con «Delirio a due»

17/01/2025
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Riparte la stagione teatrale 2024/25, dopo la pausa natalizia, del cuneese «Teatro Toselli», programmata come di consueto grazie alla proficua collaborazione tra l’Assessorato alla Cultura e la Fondazione Piemonte dal Vivo.
Venerdì sera 13 dicembre, per Stefano Massini, forse l’autore italiano vivente più noto, premiato, attivo e rappresentato, vi era un assoluto «tutto esaurito», cinquecento persone presenti, come sempre quando arriva a Cuneo una «star», ma come non mai, a dimostrare un elevato interesse per il soggetto presentato. Massini, dopo aver fatto interpretare alla notissima, sempre grande, in gran forma, Ottavia Piccolo, la sua versione della vita e della morte, un secolo fa, del deputato socialista, antifascista, Giacomo Matteotti, ha portato in scena in prima persona addirittura Adolf Hitler, facendogli raccontare la sua visione politica ed esistenziale persa dalla «Bibbia» del nazismo, il «Mein Kampf» («Teatro Stabile di Bolzano», «Piccolo» di Milano, «Fondazione Teatro della Toscana», «ambienti sonori» di Andrea Baggio).
Pur non avendo somiglianza fisica con Hitler, Massini riesce a evocarlo perfettamente, nella postura, nella voce stridula che seppe ammaliare sterminate masse tedesche fin a trascinarle in un immane, devastante, conflitto. Semplice il vestito, limitatissima la scenografia: si muove su un grande rettangolo bianco, come pagina di libro. Su questo suo «pavimento» cadono libri, quelli bruciati dal nazismo alla presa del potere e frammenti di vetro, a ricordare le persecuzioni ebraiche. L’attore regista è fedele al testo scritto nel grande «saggio politico autobiografico», sottolineando solo, con la triplice ripetizione di talune frasi, la nevrosi del personaggio, dalla grande forza di volontà, dal saper «soggiogare», deciso sin dalla fanciullezza ad evitare il destino impiegatizio che il padre aveva pensato per lui, a trovare una propria realizzazione, nella pittura prima, nella politica poi (l’aspetto più focalizzato). La prima guerra mondiale, e la disfatta tedesca, gli offrono quella occasione che gli era mancata negli anni precedenti, nei quali era finito in dormitori pubblici, a Vienna e Monaco, a far lavori occasionali da operario, da edile.
Il «Mein Kampf» nacque, tra il 1925 e 1926, iniziato durante la reclusione di Hitler nel carcere di Landesberg dopo il fallito colpo di Stato tentato nel 1923. Notoriamente fu dettato al suo segretario Rudolf Hess, poi suo vice e segretario del partito (prima del volo in Scozia nel 1941, col tentativo di intavolare trattative di pace con gli inglesi). Uscì in due volumi separati, poi raccolti in uno, che erano il primo più autobiografico, il secondo più di progettualità politica («nazionalismo per la borghesia, socialismo per gli operai»), espressa con sincerità, poco creduta, grondante voglia di guerra-rivincita tedesca ed odio per gli ebrei (cresciuto negli anni di vita nella cosmopolita Vienna).
Hitler non brillò mai per la sintesi, era piuttosto prolisso, oratore straripante... Il titolo da lui pensato per l’opera, originariamente, era lunghissimo, sembrava quello di un film di Lina Wertmuller: «Quattro anni e mezzo di lotta contro menzogna, stupidità e codardia». Fu l’editore Max Amann, insistendo non poco, a convincerlo alla scelta, molto più efficace, di «Mein Kampf», «La mia lotta», o «La mia battaglia».
Ovviamente, nei dodici anni che Hitler fu al potere il suo libro fu diffusissimo in Germania. Vista la consistenza, le ottocento pagine, c’è chi maligna che fu più acquistato che non letto. Certo fu una delle fonti di reddito maggiore, per anni, del dittatore. Dopo il 1945 fu proibito in vari Stati. In Italia, ai tempi della nostra gioventù, circolarono edizioni e sintesi non autorizzate (la prima edizione in italiano risale ai tempi del fascismo, a novanta anni fa, 1934). Vi son ripubblicazioni recenti. Il numeroso pubblico del «Toselli» testimonia anche l’interesse per il testo, in questi tempi di voto sempre più «a destra», forse la presenza di qualche «segreto ammiratore». Alla fine molti applaudivano. Non tutti. 
Sabato 11 gennaio, il teatro ha avuto momento di «contemporaneo», con «Wonder Woman», una creazione di Antonio Latella e Federico Bellini. La protagonista è ragazza peruviana stuprata decina di anni fa ad Ancona, che lottò per aver giustizia. Sul palco son state quattro giovani attrici, Maria Chiara Arrighini, Giulia Heathfield Di Renzi, Chiara Ferrara e Beatrice Verzotti (produzione Teatro Piemonte Europa, in collaborazione con «Stabilemobile»), in scenografia spartana (come quasi sempre), vestite di grigio e nero, con qualche pizzo appena, tutte «scarpette rosse con tacco» ai piedi... A legarle si percepisce la «sorellanza» femminile, un bel lavoro di «analisi e costruzione di gruppo» portato avanti. Si parte vedendo il verdetto, facendo spiegare alle magistrate che assolvono l’impossibilità dello stabilire la chiara colpa degli stupratori. Si racconta la violenza, il coraggio di denunciare, le umiliazioni subite, a partire dalle domande poste dagli inquirenti sulla «dinamica dei fatti» (con il sospetto immediato di «consensualità», almeno «iniziale», di troppe birre bevute), i dubbi e i pregiudizi verso una «extracomunitaria», una donna, poi, non giudicata bella o femminile (usava sui social il nome «Vichingo»). «Wonder» tutto affronta, con coraggio, rabbia e tenacia, anche un padre che prende le distanze, a differenza della madre. Il discorso è sviluppato con efficacia, usando il sempre potente meccanismo del «coro» nel teatro classico greco, a sottolineare le drammaticità, ma senza evitare sistemi comunicativi diversi, espressività corporea, danze e canti tribali. Finiscono con costumi presi da tradizione polinesiana, come corone di fiori e collane. Vengono citate divinità classiche giustiziere, vendicatrici, miti antichi, ma, sinodal titolo, anche una delle figure femminili più note dei fumetti americani novecenteschi, una «super-eroina». 
Domani, sabato 18 gennaio, la comicità surreale di Eugène Ionesco prenderà vita con «Delirio a due», interpretato da Maria Di Biase e Corrado Nuzzo (altri volti televisivi, coppia anche nella vita) per la regia di Giorgio Gallione. «Lo spettacolo, con il suo humor nero e il ritmo serrato, è una critica feroce ed ironica all’assurdità delle relazioni umane». Due coniugi che paiono conflittuali ed incompatibili, nella cornice di mondo difficile, in realtà si sono indispensabili... È certo un delizioso cammeo del «teatro dell’assurdo», da non perdere (come l’intera produzione di Ionesco), ma che la situazione non sia così rara nelle vicende umane non ci sentiremmo proprio di escludere. 
I biglietti vanno da 30 euro, a 11 (gallerie), con «poltrone e palco di solo ascolto» a 5 (venduti nella giornata). Confermato anche quest’anno l’abbonamento dedicato agli «under 29» (oltre a quelli «Fedeltà», «Otto» e «Quattro» spettacoli). Per maggiori informazioni o acquisti rivolgersi all’Ufficio Spettacoli (telefono 0171/444812-818, mail spettacoli@comune.cuneo.it) oppure consultare il sito www.comune.cuneo.it/cultura/teatro. Agli iscritti FAI e ai tesserati dell’Abbonamento Musei è garantito il biglietto ridotto per gli spettacoli delle stagioni organizzate da Piemonte dal Vivo. È possibile utilizzare i bonus Carta della «Cultura giovani», «Carta del merito» e «Carta del docente». 
Fuori abbonamento, sabato 22 febbraio 2025, il premiato regista ed attore romano Elio Germano ed il musicista friulano Teho (Mauro) Teardo presenteranno «Il sogno di una cosa», liberamente tratto dal primo romanzo di Pier Paolo Pasolini (primo titolo «I giorni del Lodo De Gasperi», scritto nel 1949-50 ma pubblicato solo nel 1962). È ambientato nel Friuli pasoliniano, dove la sua salma riposa, sulle rive del Tagliamento, protagonisti tre giovani braccianti, con il sogno del socialismo, che trionfava in quegli anni nella Jugoslavia di Tito. «In questo spettacolo, parola e musica si fondono in una performance intensa e suggestiva, che esplora i temi cari al grande intellettuale italiano». La produzione è di Pierfranco Pisani, per «Infinito Teatro» e «Argot Produzioni», con «Fondazione Teatro della Toscana» e contributo della Regione Toscana.
Direttore: DIEGO RUBERO
AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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