C'era una volta il generale inverno

Nel secolo scorso il freddo e la neve condizionavano la vita quotidiana dei contadini, specialmente coloro che vivevano in montagna

Alessandro Marini 14/03/2025
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In foto piazza Galimberti nel 1929
Quello appena trascorso è stato un in inverno senza neve, ma per fortuna non rischiamo di essere invasi da un Bonaparte del XXI, perchè in tal caso non potremmo nemmeno schierare il generale inverno, come invece fecero i Russi nella campagna del 1812, per difenderci.
Tuttavia, quasi non ci stupiamo dell’assenza della neve e d’altronde sono anni ormai che non si verificano copiose nevicate che ricoprono sotto svariati centimetri le città di pianura. Se da un lato tutto ciò rappresenta un cambiamento climatico negativo, in primis per tutti gli impianti sciistici e per le riserve idriche del territorio, dall’altro rappresenta un’uscita in meno per i bilanci delle amministrazioni comunali che possono risparmiare sullo sgombero delle strade.
Fino a qualche decennio fa però, le precipitazioni nelle vallate cuneesi erano molto copiose. A testimonianza di ciò è l’altezza limite a cui venivano costruite le abitazioni di montagna.
Per quanto riguarda le valli Ellero, Pesio e Maudagna la soglia è di circa 1000 metri, nelle valli Corsaglia e Casotto gli insediamenti si spingono fino 1100-1200 metri, mentre si arriva fino ai 1300 metri nella val Tanaro. Nel resto del Piemonte il limite massimo per gli insediamenti è notevolmente più alto e giunge anche fino a 1800 metri di altitudine.
In ogni caso, i nostri avi avrebbero fatto volentieri a meno della neve e delle temperature abbondantemente sotto lo zero. Infatti, la stagione invernale, oltre a sancire la fine delle attività agricole, rappresentava un momento pericoloso sia perchè era più facile ammalarsi, facilitato dal fatto che non era semplice riscaldare gli ambienti, visto che chiaramente non esistevano i termosifoni ed infatti non era un caso che le stalle si trovassero al piano terra, in modo tale che il caldo salisse nei piani superiori, sia perchè chi abitava in montagna poteva avere molte difficoltà a discendere a valle. Inoltre, l’aumento demografico del Novecento contribuì alla frammentazione delle eredità e alla conseguenza, per chi abitava nelle vallate, di doversi spostarsi sempre più in altura per poter coltivare i campi, ma con il risultato di dover lavorare terre meno fertili. Il tutto contribuì  a creare un’economia ancor più di sussistenza. Nacquero così insediamenti temporanei, sfruttati da maggio a dicembre, dal momento che certe zone in inverno erano completamente invivibili In più, spesso queste comunità erano situate in posti impervi e lontani dai centri abitati di dimensioni maggiori, benchè sempre di ridotte dimensioni, come Briga Marittima.
Per tale ragione ci si spostava il meno possibile e sicuramente non inverno, anche perchè talvolta per arrivare all’abitato più vicino era necessario percorre una giornata intera di cammino insidioso e con dislivelli notevoli.
Gli abitanti di Upega, per esempio, per non rimanere del tutto isolati, in inverno erano costretti a scendere a Ponte di Nava, passando per un angusto e pericoloso passo, denominato delle Fascette che intagliato nella roccia verticale, spesso si ghiacciava rendendolo un vero e proprio passo della morte.
Un’epoca, insomma, non per chiunque, ma solo per uomini e donne di uno spessore non indifferente.
 
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AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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