Teatro Toselli: chiusura di stagione con l’Otello

Marina Massironi prende il posto di Ambra Angiolini in un’elaborazione del classico di Shakespeare

Adriano Toselli 08/05/2025
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La stagione teatrale del «Toselli» di Cuneo è finita a inizio maggio, la, poetica, sera del 5, con lo spettacolo «Ma che razza di Otello?», protagonista una bravissima Marina Massironi, testo di Lia Celi, accompagnamento delizioso della arpa di Monica Micheli (distribuzione «Nidodiragno»), intesa ora abbondante.
Lia Celi, parmigiana (come Verdi), è una delle maggiori scrittrici satiriche, umoristiche, italiane, nota sin dai tempi della rivista «Cuore» (giovanissima, oltre trenta anni fa), a Cuneo tra i protagonisti della scorsa «Scrittorincittà».
Marina Massironi è premiatissima attrice lombarda, anche cinematografica, con collaborazione col trio «Aldo, Giovanni e Giacomo», garbata, sorridente, serafica, dolce, onirica. Risulta adattissima ai testi dissacranti della Celi.
Dati i «nomi», come sempre a Cuneo, il «Teatro Toselli» era quasi esaurito (qualche posto vuoto solo nella solita seconda galleria), e plaudente.
«Ma che razza di Otello?» trae spunto dal capolavoro lirico per parlare, con molta ironia, del grande compositore di Busseto, Giuseppe Verdi, ma usando anche per approfondire tematiche molto attuali, quali razzismo e violenza sulle donne. Bellissima era anche locandina di presentazione, artistica.
Verdi è visto nella sua grande capacità di essere apprezzato dal pubblico, di essere ben pagato (investendo in terra della sua Emilia, diventando proprietario terriero), simbolo del nostro «Risorgimento», ma sempre col cruccio di venir contestato dai «giovani» e con una sorta di «complesso di inferiorità» (che ben si vede anche in taluni passaggi musicali) nei confronti del coetaneo tedesco Richard Wagner. Per lui «Otello» è «ritorno in scena», dopo oltre dieci anni di «ritiro», con il suo nuovo, ultimo, librettista: un Arrigo Boito che era stato poeta «scapigliato», contestatore. Tra i due si creerà molta sintonia. Il testo scelto da elaborare musicalmente è dramma di amore e morte, adattissimo alle «corde» verdiane, opera del poeta inglese seicentesco Shakespeare, «Il moro di Venezia».
Da buona parmigiana, Lia Celi si mostra grossa intenditrice, anche dal punto di vista tecnico dell’Opera (muovendosi disinvolta tra bassi, soprani, tenori...).
Ma mica ci si ferma qui... Tanta «carne», con eleganza, è «messa al fuoco».
Vi è storia d’amore tra, Desdemona ed Otello, una ragazza di «famiglia bene» veneziana ed un condottiero «nero» (non politicamente), per quanto nobilitato dalla capacità e dalle glorie belliche, coraggiosa e trasgressiva.
Ma vi è il problema dell’accoglienza dello straniero, del razzismo, ovviamente non solo nel Veneto rinascimentale.
Si finisce con un «femminicidio», con la violenza sulle donne che autrice e attrice condannano.
Citazione e saluto riceve il locale centro di Peveragno (la Celi ne immagina ambientato il celebre «mercante» scespiriano).
Unico dispiacere (anche se la scuola ci insegna che i «supplenti» spesso si rivelano del tutto «all’altezza») è che si trattava di sostituzione dello spettacolo «Oliva Denaro» (storia di donna siciliana che si ribella a violenza e sottomissione femminile della tradizione), inizialmente previsto per il 1° marzo annullato per motivi di salute dell’interprete, Ambra Angiolini. Si è persa occasione per vedere la costante crescita  professionale ed umana di attrice che, partita giovanissima con programmi televisivi, sta offendo grandi prove sui palcoscenici teatrali.
Direttore: DIEGO RUBERO
AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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