Si può davvero definire «spiazzante», come dice lo stesso regista Leonardo Lidi, l'Amleto in scena al Teatro Carignano di Torino fino al prossimo 26 ottobre.
L'opera, scelta per festeggiare i primi 70 anni dello Stabile torinese, viene presentata in una versione inedita e anche coraggiosa: non è l'ennesima rappresentazione del dramma shakespeariano, riproposto innumerevoli volte dal 1602, e neppure una sua modernizzazione. Lidi - con la collaborazione del drammaturgo Diego Pleuteri - costruisce uno spettacolo che si muove su un confine affascinante tra fedeltà e reinvenzione, alterna il registro comico e quello tragico, gioco e dolore. Il testo di Shakespeare viene mantenuto nei suoi nodi tematici fondamentali - la vendetta, il dubbio, la follia, il teatro come specchio della verità - ma è sottoposto a un'operazione di riscrittura: alcuni celebri monologhi scompaiono, il linguaggio si fa più diretto, più tagliente, a tratti comico.
Il risultato è un Amleto vivo, che parla al pubblico di oggi senza tradire la sua essenza. I personaggi si muovono come clown, come attori di un circo del dolore, ma la leggerezza è solo un velo sopra una realtà fatta di morte, inganni e solitudine. E quando, nel finale, il trucco svanisce dal volto di Amleto, il teatro mostra il suo volto più crudo: di fronte alla morte non c'è più spazio per le finzioni. Al centro di tutto resta la parola teatrale.
«Trattali bene gli attori, perché sono l'essenza di un'epoca», dice Amleto e chiede al pubblico di ripetere le sue parole, in un rito collettivo che celebra il teatro come luogo vivo, politico. Così anche la celebre battuta «Il teatro è la trappola per catturare la coscienza del re» assume un significato più ampio: il palcoscenico diventa specchio, possibilità di svelare ciò che è nascosto. Mario Pirrello dà corpo a un protagonista lontano dall'iconografia classica del giovane tormentato: il suo Amleto è un uomo adulto, capace di riflettere con lucidità e insieme di travestirsi da buffone, di giocare con la maschera e con la propria follia apparente.
Lo vediamo apparire con parrucca e trucco marcato, arrampicato su un trampolino che si affaccia sul vuoto della platea, una scelta scenica che trasforma lo spettatore in parte attiva, chiamata in causa. Emblematico il momento in cui due spettatori vengono invitati sul palco: un gesto che rompe la quarta parete e ribadisce quanto il teatro, in questa visione, sia un gioco collettivo, uno spazio dove il pubblico non può rimanere passivo.
«Il mio, non lo nascondo, sarà uno spettacolo divisivo. Ma è giusto che lo sia. Amleto non può essere una carezza», afferma Lidi.
La produzione di inaugurazione vedrà in scena (in ordine alfabetico): Alfonso De Vreese, Ilaria Falini, Christian La Rosa, Rosario Lisma, Nicola Pannelli, Mario Pirrello, Giuliana Vigogna.
Scene e luci sono di Nicolas Bovey, i costumi di Aurora Damanti, il suono di Claudio Tortorici, la cura dei movimenti scenici di Riccardo Micheletti. Regista assistente: Alba Porto.
Leonardo Lidi (1988), diplomato alla Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, dove attualmente ricopre la carica di direttore, è un affermato talento del teatro italiano, che affianca alla carriera di prosa quella come interprete cinematografico e televisivo. In qualità di regista ha vinto la prima edizione di Biennale College a Venezia con il progetto su Spettri di Ibsen; ha ricevuto il premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro il Premio Hystrio alla Regia 2025. La sua cifra stilistica è caratterizzata da un originale equilibrio tra le poetiche e i canoni della miglior regia critica e la centralità del testo.
Ha collaborato con la Corte Ospitale, il Lac di Lugano, il Teatro Stabile dell’Umbria e nel 2020 ha firmato la sua prima regia d’opera con Falstaff di Verdi. Per il Teatro Stabile di Torino, di cui è artista residente, ha diretto il trittico ginzburghiano Ti ho sposato per allegria, Dialogo e La segretaria (2016), La casa di Bernarda Alba (2020), Il Misantropo (2022), Come nei giorni migliori (2023) del giovane drammaturgo Diego Pleuteri, Medea (2023) e La gatta sul tetto che scotta (2025). Insieme al Teatro Stabile dell’Umbria, in coproduzione con lo Stabile di Torino, Emilia Romagna Teatro Ert - Teatro Nazionale, in collaborazione con il Festival dei due Mondi di Spoleto, ha firmato gli spettacoli della trilogia cechoviana: Il gabbiano (2022), Zio Vanja (2023), Il giardino dei ciliegi (2024).