Un’operazione imponente, estesa a più regioni italiane e destinata ad avere conseguenze giudiziarie e politiche di lungo periodo. È quella condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Genova, con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo di Roma, che ha portato all’esecuzione di 17 perquisizioni personali e locali nell’ambito di un’indagine su presunti finanziamenti all’organizzazione terroristica Hamas.
Le attività, svolte dalla Polizia di Stato e dalla Guardia di Finanza, hanno interessato Genova, Milano e Roma – dove si trovano le sedi dell’Associazione di Beneficenza e Solidarietà con il Popolo Palestinese (ABSPP) – oltre a Torino, Bologna, Bergamo, Firenze, Monza Brianza, Lodi e Sassuolo, nel Modenese. Nel corso delle operazioni, proseguite fino a tarda sera, sono stati sequestrati circa 1 milione e 80 mila euro in contanti, rinvenuti non solo nelle sedi associative ma anche nelle abitazioni di alcuni indagati. In un caso, oltre mezzo milione di euro era nascosto in un vano ricavato appositamente in un garage a Sassuolo.
Gli investigatori hanno inoltre sequestrato computer e numerosi dispositivi elettronici, alcuni dei quali occultati all’interno delle pareti di un alloggio in provincia di Lodi. In una delle abitazioni perquisite è stata trovata una bandiera di Hamas, insieme a materiale di propaganda, opuscoli e una chiavetta USB contenente canti celebrativi dell’organizzazione islamista.
Al centro dell’inchiesta figura Mohammad Hannoun, presidente dell’associazione palestinese in Italia, destinatario di una misura cautelare insieme ad altre otto persone. Secondo l’ipotesi accusatoria, Hannoun avrebbe svolto un ruolo chiave nella raccolta e nel trasferimento di fondi verso Hamas. Accuse che hanno immediatamente provocato una dura reazione da parte di ambienti dell’attivismo filopalestinese.
Il Coordinamento Torino per Gaza, che include anche il centro sociale Askatasuna, parla di un «attacco repressivo» e di un’operazione volta a «zittire chi sostiene la causa palestinese». Nel mirino delle perquisizioni è finita anche la giornalista Angela Lano, direttrice dell’agenzia InfoPal, ritenuta dagli inquirenti responsabile di attività di propaganda. Secondo il Coordinamento, l’inchiesta si inserirebbe in una «cornice autoritaria» e rappresenterebbe una risposta politica alle mobilitazioni contro la guerra degli ultimi mesi. Di segno opposto il commento del ministro israeliano della Diaspora Amichai Chikli, che ha definito l’operazione «un passo importante nella lotta contro il terrorismo di Hamas».
Parallelamente all’inchiesta giudiziaria, si è aperto un acceso fronte politico, con Torino al centro delle polemiche. Il nome dell’imam Mohamed Shahin, guida della moschea Omar, ricorre negli atti dell’indagine pur non risultando formalmente indagato. Secondo quanto emerso, la moschea avrebbe collaborato con l’associazione di Hannoun e ospitato iniziative pubbliche a sostegno di Gaza, condivise anche sui social.
Sul piano politico, il caso ha riacceso lo scontro soprattutto a Torino. In una nota particolarmente dura, la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli ha puntato l’attenzione sulla moschea Omar e sulla figura dell’imam Mohamed Shahin, il cui nome ricorre negli atti dell’inchiesta. Secondo Montaruli, la moschea avrebbe collaborato attivamente con l’associazione di Hannoun, promuovendo iniziative e convegni condivisi sui social. «Non è più prorogabile l’allontanamento di Shahin – afferma –. L’espulsione è un atto amministrativo con funzione preventiva ed è oggi più che mai necessaria». La parlamentare parla di un «muro di difesa» eretto da ambienti della sinistra e chiede spiegazioni anche al sindaco di Torino sui contatti emersi. Sulla stessa linea la Lega, con i deputati Elena Maccanti e Alessandro Benvenuto, che parlano di «quadro inquietante» e invocano una presa di distanza netta da parte dell’amministrazione comunale e della sinistra torinese.
Ancora più articolata la presa di posizione di Forza Italia. Il senatore Roberto Rosso e il segretario cittadino Marco Fontana sottolineano come dall’inchiesta emergano «contatti, telefonate e riferimenti a movimenti di denaro» che chiamano in causa l’imam Shahin, pur non essendo formalmente indagato. «Parliamo di una persona inserita in un contesto investigativo che riguarda terrorismo internazionale, raccolta fondi e flussi verso Gaza – dichiarano –. Un quadro che desta un profondo allarme politico e istituzionale».
Rosso e Fontana chiedono al sindaco Stefano Lo Russo di «rompere ogni ambiguità» e di assumere una distanza netta da Avs e da una maggioranza che, a loro avviso, continua a minimizzare. «I cittadini non possono pagare il prezzo di equilibri politici costruiti sull’ideologia e sulla rimozione dei fatti», affermano, invocando «fermezza assoluta e tolleranza zero». I due esponenti azzurri sollevano inoltre interrogativi sulla decisione della Corte d’Appello di Torino di rimettere in libertà una persona che aveva definito l’attacco del 7 ottobre un «gesto di resistenza», chiedendo una rivalutazione alla luce dei nuovi elementi.
Mentre le indagini proseguono e il materiale sequestrato è ora al vaglio degli inquirenti, il caso assume contorni sempre più complessi, intrecciando sicurezza nazionale, libertà di espressione, conflitto in Medio Oriente e scontro politico interno. Un dossier destinato a restare a lungo al centro del dibattito pubblico.