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La Caritas: "I migranti non ci pagano le pensioni"

I centri d'ascolto genovesi accolgono per lo più migranti. Il rapporto: "Non lavorano, quindi non pagano contributi"

Diego Pistacchi 15/11/2024
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Una povera cerca tra i rifiuti

L’Italia non offre quello che gli stranieri sognano. L’Italia non regala il futuro migliore, ma garantisce povertà a chi rischia la vita imbarcandosi clandestinamente per superare il Mediterraneo. Lo dicono i numeri del Rapporto della Caritas. L’allarme lanciato sulla base delle persone che si rivolgono ai centri d’ascolto punta ovviamente sull’aumento dei nuovi poveri in Italia e così pure a Genova. Giusto che chi ha per missione quella di aiutare chiunque abbia bisogno, metta in evidenza l’aspetto complessivo, ma proprio le cifre confermano che a Genova la stragrande maggioranza delle famiglie indigenti, quelle costrette a tendere la mano per mangiare, per avere il necessario per sopravvivere, sono straniere.

Il 55 per cento delle 4.100 persone assistite nel 2023 dai centri d’ascolto genovesi hanno cittadinanza straniera. Basti pensare che meno del 10 per cento della popolazione complessiva della Città Metropolitana è straniera e quindi appare del tutto evidente che una fortissima incidenza di povertà interessa le comunità extracomunitarie. Più precisamente, le comunità straniere con il maggior numero di accessi ai Centri di Ascolto sono (in ordine): Marocco, Ecuador, Albania, Nigeria, Perù, Romania, Senegal e Ucraina. In maggioranza si tratta di adulti nel pieno dell’età da lavoro, tra 25 e 44 anni (56%), che va a sommarsi a un 29% di persone tra i 45 e i 64 anni. Se si conta anche un 8% di under 24 (in parte anche figli delle fasce di età precedenti) è facilmente comprensibile come chi viene in Italia per costruirsi un futuro positivo non raggiunge purtroppo l’obiettivo. Non trova quello che cercava, ma una vita di stenti cui la Caritas si sforza di dare sollievo con sempre crescente impegno ma anche difficoltà.

È una verità difficile da dire. Ma la stessa Caritas, pur cercando altre responsabilità, lo ammette. «L’aumento di giovani adulti stranieri nei nostri Centri d’Ascolto ci invita a ripensare le politiche locali, considerando la potenzialità che queste comunità possono offrire, dalla nota questione demografica ai talenti e innovazioni che possono mettere in campo, al loro contributo fiscale, però possibile solo se inquadrati in regolari contratti di lavoro». Le politiche locali poco hanno a che fare con la primaria causa della situazione, cioè il costante traffico di esseri umani sbarcati in Italia senza un futuro reale di fronte. E la stessa Caritas smentisce anche la narrazione degli stranieri che pagherebbero le pensioni agli italiani. Se non lavorano, come dimostra il rapporto dei centri d’ascolto, se non hanno inquadramenti regolari, ingrossano solo le file dei poveri che bussano alla mensa benemerita di chi li aiuta.

Il 31% di chi viene supportato dai centri d’ascolto genovesi (in questo senso la statistica non fa differenze in base alla nazionalità) è senza dimora o vive in centri d’accoglienza. Ma anche chi in qualche modo ha un tetto non sta necessariamente meglio. A volte è proprio la casa ad assorbire quasi tutte le risorse. «Oltre alle condizioni abitative problematiche, un’altra richiesta molto frequente è quella legata alle spese dell’abitare, sappiamo che due terzi delle erogazioni fatte dai centri d’ascolto rispondono a questo bisogno», conferma la Caritas, che contribuisce direttamente al pagamento di affitti e utenze.

«La questione del diritto alla casa deve essere affrontata non solo come un principio, ma come un bisogno reale e in evoluzione - prosegue il Rapporto Caritas -. Non possiamo permetterci un approccio statico, ma è doveroso ampliare il dibattito sull’abitare, considerandolo elemento centrale all’interno dei diritti e dei doveri di una comunità, un diritto che implica responsabilità reciproche e una visione collettiva del benessere. Uno dei problemi pratici evidenziati da alcune operatrici Caritas è che servono sempre maggiori garanzie per poter affittare al punto che, anche chi avrebbe qualche soldo da parte, se non ha un lavoro non riesce a prendere in affitto una casa. Chi perde la casa e lavora, in poco tempo perde anche il lavoro, per diverse difficoltà, come quella di mantenere l’igiene necessaria in tante professioni. Per questo motivo, oltre che per le maggiori entrate, si tende spesso a trasformare gli appartamenti in B&B, o ad affittare a trasfertisti. Nella maggior parte dei casi, è l’azienda a garantire il pagamento dell’affitto e in questo modo si rispettano le richieste di rassicurazione dei proprietari».

Il risultato è che anche i servizi sociali sono in affanno, perché gli alloggi di Arte sono insufficienti al fabbisogno. Questo a fronte di un costante aumento negli ultimi anni di alloggi restaurati e messi a disposizione. L’aumento di persone in difficoltà è superiore a quella della disponibilità di case.

 

Direttore: DIEGO RUBERO
AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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