L’antico tesoro del teologo

Stefano Sicardi torna in libreria in questi giorni con un nuovo romanzo

Claudio Bo 10/10/2024
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Stefano Sicardi torna al suo pubblico con un nuovo romanzo, sempre per i tipi di ArabaFenice, e sempre ai confini del giallo, un genere dietro al quale l’autore nasconde la sua vena letteraria che, in realtà, spazia fra attualità, storia, costume. “L’ola dij marenghin” (questo il titolo del libro) non fa eccezione alla vena sicardiana, anzi, rafforza ancora di più la distanza dal genere poliziesco e crudo. Ancora una volta, infatti, siamo di fronte ad un giallo senza assassinati e la morte che avvia l’indagine, quella di un vecchio, non ha poi troppi legami con la vicenda.
Pure i personaggi sono più eterogenei anche se siamo ancora nell’atmosfera dell’avvocato Greg, del suo mondo e della sua cultura subalpina.
In qualche modo, infatti, si può dire sciolta la combriccola indagante (dei libri precedenti) troppo in sintonia e troppo zuccherosa. Qualcosa è rimasto, ma è ben calibrato. Persino l’amore senile.
In mancanza di assassinati, comunque, c’è una profusione di decessi per cause naturali che fanno sparire un po’ di personaggi più o meno marginali. Mancano anche, quasi del tutto, le vere canaglie sostituite da maneggioni, poveracci che scarseggiamo dell’arte del crimine e abbondano dell’arte di pasticciare.
Credo di aver esaurito i dettagli, quindi passo ai pregi di quest’Olla, che sono tanti. In primo luogo il felice abbinamento di un’indagine (quasi una caccia al tesoro) odierna e di una travagliata vicenda storica ben narrata e ben documentata attorno alla figura di un canonico teologo, realmente vissuto, anzi, antenato dell’autore stesso, immerso nella disputa politico-teologica che il vento giacobino aveva portato (a seguito di Napoleone) anche nelle nostre zone.
E il canonico della Cattedrale intimamente simpatizza per le nuove idee di uguaglianza e libertà, anche se inorridisce per la violenza che accompagna i francesi, già da lui conosciuta e rinnovata negli anni dalla fine del 1798 alla metà del 1799.
“In tale periodo - ci informa l’autore - la riorganizzazione francese dei poteri locali (con, in particolare, la costituzione del Dipartimento della Stura, di cui Mondovì fu inizialmente, anche se per pochissimo, capoluogo) dovette confrontarsi, in un brevissimo lasso di tempo (poco più di quattro mesi), con la grave situazione di disagio sociale dovuta alla cruda realtà della guerra in terra italiana tra l’esercito d’oltralpe e gli austro-russi”.
Un periodo di conquiste francesi, rivolte e brevi riconquiste dei piemontesi che misero a ferro e fuoco la città di Mondovì e, alla fine, costrinsero il canonico alla fuga verso la Liguria e le Francia.
Indispensabile la premessa storica perché a questa è legata la storia dell’Olla dei marenghini”, cioè la pentola in cui spesso, in passato, si conservavano al sicuro i beni familiari, specie le monete d’oro o comunque di maggior valore. «Un’ espressione - ci avvisa l’autore - da non intendere in senso stretto, perché i marenghi d’oro furono coniati solo a seguito della vittoria di Bonaparte, appunto a Marengo (14 giugno 1800), e quindi in un tempo comunque successivo alle vicende della parte storica del libro».
Proprio all’Olla, in piemontese “Ola” (Remigio Bertolino, che ha curato la grafia delle parti dialettali, mi ha confortato nel dubbio che possa anche scriversi con la “u” perché in alcune zone viene pronunciata con la “u” alla francese), il canonico affida nella fuga i suoi beni e i suoi documenti più preziosi. Ricordo che resta nelle generazioni dei discendenti sino a diventare il centro di diversi appetiti.
La descrizione delle caotiche vicende di fine Settecento si incrocia abilmente alla vicenda attuale nata dagli indizi emersi dalla ricerca di una professoressa di storia moderna, Adelina Barattero. Ricerca attorno a un manoscritto che la porta in Biblioteca a Mondovì, sua cittadina natale, dove qualcuno maldestramente attenta alla sua vita.
Da qui si dipana la parte investigativa, come sempre sulle tracce di indizi antichi mescolati ad indizi moderni, spesso ad intuizioni, a reminiscenze culturali, a riscoperte storiche.
Ovviamente ecco scendere in campo l’avvocato Greg, sua moglie e il maresciallo Prestìa accompagnati però da altri protagonisti di Mondovì e Torino.
Così ci si addentra nell’indagine, o qualcosa di simile, con una sorta di curiosità culturale perché è piacevolissimo lo scorrere degli eventi alternati a quelli di fine Settecento.
La penna di Sicardi è come sempre felice nelle descrizioni e nel tratteggiare i personaggi e non manca l’abilità dell’intreccio per cui il lettore viene catturato dalla trama e dalla curiosità.
Un romanzo a tutto tondo, quindi, ricco di informazioni storiche dettagliate e di personaggi interessanti, talvolta intriganti. E, come sempre, l’autore va in cerca di scampoli di umanità movimentando gli intrecci fra i suoi protagonisti. Un espediente letterario piacevole.
Nei prossimi giorni il romanzo sarà in libreria.

Nelle immagini la copertina di Beatrice Rocca e l’autore Stefano Sicardi

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