Nella mattinata di sabato 12 luglio il teologo Vito Mancuso è stato ospite del Monastero di San Biagio, a Mondovì, dove ha presentato il suo libro«Destinazione Speranza».
Dopo i saluti introduttivi, a cura di Andrea Battaglia, presidente di Casa do Menor onlus, di Carlo Borra, responsabile di Casa do Menor nella sede monregalese, e della Tenda dell’Incontro Giovanni Gorgis di Peveragno, la mattinata di lavori è entrata nel vivo.
Cos’è la speranza di cui Mancuso parla nel suo libro? O meglio, a cui si aspira e si tende, come evinciamo già dal titolo? Occorre fare un passo indietro, per arrivare gradualmente a una risposta a questa domanda. Come esseri umani siamo fatti di relazioni, e questa relazione che costituisce tutto il nostro essere ci contraddistingue nel mondo, nella società e nella comunità.
Le molecole che diventano atomi, gli atomi che compongono le cellule e da lì i tessuti e gli organismi, tutto ciò che ci circonda e in cui siamo immersi è contraddistinto da una relazione armoniosa ed è lo spazio entro cui la vita fiorisce. L’armonia si pone alla base della ricerca spirituale di tutte le religioni e laddove sussistono violenza, sopruso, odio, discriminazione, lì l’armonia si rompe.
L’intero volume prende le mosse da tre domande poste dal filosofo Immanuel Kant nel libro «Critica della ragion pura»: che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa mi è lecito sperare?
In merito alla prima, la risposta è: abbi il coraggio di sapere, coltiva la tua conoscenza, correggi gli errori e fai bagaglio di tutte le cose che puoi apprendere.
Alla seconda domanda risponde invece l’etica, l’imperativo categorico che dà vita a uno dei filoni principali del pensiero di Kant: agire affinché l’essere umano sia sempre il fine e la propria azione possa rappresentare il massimo dell’agire universale, il massimo del bene, il massimo dell’impegno.
Infine, ecco che compare la speranza: spera che dentro di te alberghi un’energia positiva che ti renderà proattivo, che ti spingerà a cercare di fare del tuo meglio con forza e passione.
Queste tre domande ne racchiudono, in conclusione, una quarta, più generica e onnicomprensiva: che cos’è l’uomo? L’uomo è ciò che sa, ciò che fa e ciò in cui spera, è così che si potrebbe riassumere la nostra interiorità.
La destinazione speranza protagonista non solo del libro, ma del lungo e approfondito intervento filosofico presentato da Vito Mancuso al pubblico di Mondovì, è una salvezza dell’anima, o dello spirito, di ciò che, indipendentemente da come lo si chiami, alberga in noi ed è formato da un’energia che non può essere calcolata, nemmeno con formule fisiche. Coltivare il giardino della nostra anima, sembra dire il teologo proprio nel giardino del Monastero, per salvarne la bellezza, e per opporre questa bellezza a ciò che del mondo esterno di fa paura e sembra travolgerci. Utilizzare quell’energia indefinita, l’energia della nostra interiorità, per lavorare su sé stessi e far sì che il nostro mondo interiore, ciò che ci caratterizza come individui, non sia preda dell’oscurità e della malvagità. Così si trova l’armonia, l’armonia con l’ambiente circostante e con la vita.
È lecito sperare, ebbene si, conclude Vito Mancuso, nonostante le grandi contraddizioni del mondo in cui viviamo e forse anche proprio in virtù di esse, perché dove c’è il buio molto spesso c’è anche una luce.
Proprio della speranza e del suo rapporto con la bellezza e con la fede abbiamo parlato con l’ospite.
Professor Mancuso, come mai ha scelto di parlare di speranza e che tipo di speranza è questa, come viene declinata in questo libro?
Come mai la speranza. La risposta è nella situazione contemporanea, o meglio nella nostra risposta come esseri umani a questa situazione, che spesso crea un sentimento di disagio, per non dire impotenza. Sentiamo di avere problemi molto più grandi delle nostre forze e, a differenza del passato, quando guardando all’indietro si vedevano situazioni meno fiorenti, e si profilava la prospettiva di un futuro comunque ancora più fiorente, ora sembra davvero che abbiamo perso la speranza; per questo motivo, per non rimanere oppressi o repressi da questa situazione, per non sentire un sentimento di rabbia e generare cattiveria e aggressività, credo che occorra lavorare su sé stessi andando a pescare al fondo della propria umanità, e da questo punto di vista il sentimento, anzi la virtù della speranza appare decisiva. Sperare che nell’umanità ci siano risorse per non farsi appiattire su questa situazione.
Come lei declina la speranza? Com’è legata al mondo in cui ci troviamo e nei legami con cui ci troviamo?
Io parlo di speranza rispetto alla propria umanità, ci troviamo all’interno di un monastero molto bello, intorno a noi ci sono affreschi quattrocenteschi, guardiamo fuori dalla finestra e vediamo un paesaggio verde e curato, nelle città vediamo piazze, monumenti, troviamo libri nelle biblioteche, musica e spettacoli nel teatro, l’umanità è capace di bellezza.
Questo si ricollega alla penultima domanda che volevo porle. Dostoevskij ne L’Idiota dice che la bellezza salverà il mondo, una bellezza che assomiglia alla grazia. Quanta bellezza c’è nella speranza e quanto possiamo ancora speranza nella bellezza del mondo, del futuro e del prossimo?
La vera bellezza è di tipo interiore, il segreto è l’armonia, l’armonia con sé stessi, con gli altri, con i propri simili, con il pianeta, con tutti i viventi. La bellezza dell’intelligenza, la bellezza della bontà, fare un lavoro su sé stessi per trovare la bellezza di essere capaci di intelligenza, di altruismo, di bontà. Questo ci rende maggiormente legati anche con ciò e con chi ci circonda.
Lei ovviamente si occupa di teologia, qual è il legame tra speranza, bellezza e, per chi crede, la fede?
Il legame è intenso, naturalmente. La bellezza dell’anima umana è capace di generare bellezza fuori di sé. Quando io attingo dentro di me, e altri fanno lo stesso, a questa profonda bellezza, quando diventiamo più umani, c’è più o meno essere, è un’illusione rispetto allo stato del mondo o è la sua verità, c’è così più o meno umanità? Se qualcuno crede che questa bellezza dell’anima sia un’illusione, allora non crede che ci sia niente a cui questa bellezza rimandi, niente di oltre o al di fuori, chi invece, coltivando la bellezza, crede che ci sia qualcos’altro a cui quella bellezza rimandi, qualcosa di più grande, allora questo significa credere in Dio, allora questa è la fede.