È stato un gesto carico di significato quello compiuto ieri a Torino da Giovanni Berardi, presidente dell’Asevit e figlio di un poliziotto ucciso dalle Brigate Rosse negli anni di piombo. Berardi ha voluto portare personalmente gli auguri di Natale agli agenti delle forze dell’ordine impegnati nel presidio davanti alla palazzina di via Alessandria, nel quartiere Vanchiglia, dove fino a pochi giorni fa aveva sede il centro sociale Askatasuna.
«A Torino – ha dichiarato – non c’è posto migliore e non ci sono persone migliori alle quali oggi, per orgoglio, affetto e gratitudine, si possano rivolgere auguri sinceri e sentiti di un felice Santo Natale». Parole pronunciate davanti agli agenti in servizio, in un contesto segnato da settimane di tensione e attenzione sul tema della sicurezza urbana.
Il gesto di Berardi affonda le radici in una vicenda personale e collettiva che segna profondamente la storia della città. Suo padre, Rosario Berardi, maresciallo di Pubblica Sicurezza, fu assassinato a Torino il 10 marzo 1977, nel pieno della stagione del terrorismo politico. Quella mattina, poco dopo le 7, Berardi stava attendendo il tram in corso Belgio, diretto al lavoro, quando venne avvicinato da un commando armato delle Brigate Rosse composto da quattro persone. Fu colpito da diversi colpi di pistola e morì sul colpo.
L’omicidio di Rosario Berardi rientrò nella strategia delle Brigate Rosse di colpire esponenti delle forze dell’ordine considerati simboli dello Stato. In quegli anni Torino era uno degli epicentri del terrorismo: tra il 1976 e il 1978 la città fu teatro di numerosi attentati, agguati e omicidi che segnarono profondamente il tessuto sociale e istituzionale. L’uccisione del maresciallo Berardi suscitò forte indignazione e partecipazione popolare, con una città scossa da funerali seguiti da migliaia di persone.
Oggi, a quasi cinquant’anni di distanza, il figlio Giovanni continua a tenere viva la memoria delle vittime del terrorismo attraverso il suo impegno nell’Asevit, associazione che riunisce familiari di persone uccise o ferite dalla violenza politica in Italia e in Europa. La sua presenza accanto agli agenti in servizio a Vanchiglia assume così un valore simbolico: un ponte tra la memoria degli anni di piombo e l’attualità, nel segno della legalità e della riconoscenza verso chi ogni giorno presidia il territorio.