La Suprema Corte dà ragione a Roberto Rosso
Rese pubbliche le motivazioni con cui la Cassazione ha annullato la sentenza disponendo il rinvio a un nuovo processo d'appello
La Corte di Cassazione ha pubblicato le motivazioni dell'annullamento, con rinvio a un nuovo processo d'appello, della condanna all'ex parlamentare e assessore regionale di Forza Italia e Fratelli d'Italia, Roberto Rosso, accusato di aver pagato 7.900 euro a due boss della ‘ndrangheta (Onofrio Garcea e Francesco Viterbo) in cambio di voti alle elezioni regionali del 2019 e per questo condannato in appello a 4 anni e 4 mesi per voto di scambio politico-mafioso. Rosso si è sempre proclamato innocente e si è sempre difeso sostenendo di non conoscere la provenienza criminale di quei fondi. La Cassazione gli ha dato in gran parte ragione: «I procacciatori di voti (già condannati in via definitiva per lo stesso reato) hanno agito non in quanto emissari o rappresentanti delle cosche di riferimento, ma quali soggetti accompagnati da fama criminale». Quindi, non «risulta possibile, a parere del Collegio, prescindere dal fatto e dalla prova che il procacciamento dei voti avvenga con metodo mafioso nel caso in cui agenti operino, come nella fattispecie, a vantaggio del singolo».
I giudici della Cassazione sottolineano poi le difficoltà di accertamento «del delitto, anche per difformi orientamenti interpretativi nell'ambito della giurisprudenza di questa stessa Corte di cassazione, una volta verificato che tra i contraenti del patto vi siano soggetti appartenenti alle associazioni mafiose».