A un detenuto del carcere di Quarto ad Asti, era stato negato due volte di poter avere «colloqui affettivi e riservati con il coniuge o la persona stabilmente convivente senza essere sorvegliati a vista». A mettere una pezza rispetto al diritto negato dal Tribunale di Sorveglianza è stata la Corte di Cassazione, a cui si è rivolto il giovane carcerato, assistito dagli avvocati Davide Gatti e Cristina Coda.
La Cassazione ha bocciato la valutazione del giudice di Sorveglianza. «Non può ritenersi – scrivono i giudici - che la richiesta di poter svolgere colloqui con la propria moglie in condizioni di intimità, avanzata dal detenuto ricorrente, costituisca una mera aspettativa, essendo stato affermato che tali colloqui costituiscono una legittima espressione del diritto all'affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari». Un diritto, dunque, che può essere arginato solo da ragioni precise, non certo strutturali.
Non solo. Secondo la Cassazione il magistrato di sorveglianza, avrebbe dovuto ordinare all’amministrazione penitenziaria di «porre rimedio a detta situazione, entro un termine preciso, dal momento che dalla sua inerzia deriva al detenuto un attuale e grave pregiudizio all’esercizio di un suo diritto».
«Questa pronuncia – afferma l’avvocato Gatti, responsabile per altro della Camera Penale di Asti - è importantissima non solo nel nostro caso, perché ribadisce una libertà fondamentale, ricordandoci che anche in carcere le relazioni affettive costituiscono un diritto costituzionalmente tutelato»