In Piemonte cresce l’incidenza di lavoratori stranieri

La regione si conferma tra quelle con la maggiore incidenza di manodopera migrante in ingresso. Per il presidente di Confartigianato Imprese Piemonte, Giorgio Felici, «il problema è culturale: occorre riconnettere i giovani con l’etica del lavoro». Train

Eliana Puccio 09/05/2025
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Il territorio del Piemonte si conferma tra quelli con la maggiore incidenza di lavoratrici e lavoratori stranieri in ingresso, con 79.660 assunzioni previste.

Nello specifico dell’artigianato, le imprese della regione prevedono 7.160 ingressi di personale immigrato, che rappresentano il 17,8% delle nuove assunzioni artigiane.

L’incidenza degli ingressi di personale immigrato è particolarmente elevata in Lombardia e Umbria (entrambe al 21,9%), seguite da Veneto (21,6%), Piemonte-Valle d’Aosta (21,5%), Trentino-Alto Adige (21,3%) ed Emilia-Romagna (20,7%).

Nel 2024 le imprese italiane prevedono 1.082.170 ingressi di personale immigrato, pari al 19,6% del totale delle nuove entrate.

A dirlo è il Sistema informativo Excelsior (Unioncamere - Ministero del Lavoro), che fotografa un’economia che continua ad avere ‘fame’ di competenze, soprattutto nel settore artigiano.

Le imprese artigiane, in particolare, assorbiranno 93.390 lavoratori immigrati: una quota che rappresenta l’8,6% del totale delle assunzioni di lavoratori stranieri e il 18,5% delle nuove entrate del comparto artigiano. Un dato che testimonia la crescente rilevanza della manodopera straniera per garantire la continuità e la qualità delle produzioni artigiane italiane.

In testa c’è il comparto delle costruzioni; seguono servizi e manifattura.

Approfondendo l’analisi settoriale, emerge che la domanda di lavoratrici e lavoratori migranti nelle imprese artigiane si concentra soprattutto in alcuni settori chiave. Le costruzioni guidano la classifica, con il 22,4% di incidenza e 33.390 ingressi previsti, confermandosi il settore con il maggiore fabbisogno in valori assoluti. Seguono altri servizi (esclusi commercio, alloggio, ristorazione e turismo) con il 18,5% e 22.350 ingressi; manifatturiero esteso (inclusi estrattivo e public utilities) con il 16,6% e 26.320 ingressi; alloggio, ristorazione e turismo con il 16,2% e 7.620 ingressi; commercio con il 13,1% e 3.710 ingressi.

Nel complesso, il settore dei servizi rappresenta il 17,2% delle entrate totali di personale immigrato nell’artigianato, pari a 33.680 unità.

Lo scenario si fa ancora più rilevante se si guarda al fabbisogno occupazionale previsto tra il 2024 e il 2028. Secondo le stime del Sistema Excelsior (Unioncamere-Ministero del Lavoro), applicando il peso dell’artigianato sulle entrate di lavoratori immigrati rilevato nel 2024 alle previsioni per il quinquennio, si stima che l’artigianato richiederà circa 66 mila lavoratori stranieri, pari al 10,8% del fabbisogno complessivo di 607.400 entrate di lavoratori immigrati previste nell’economia privata non agricola.

Questa domanda si concentra soprattutto nei comparti a maggiore intensità di lavoro manuale e specializzazione tecnica: il manifatturiero esteso e le costruzioni rappresenteranno l’80,5% della domanda di lavoratori stranieri dell’artigianato (pari a 52.700 ingressi previsti), mentre il restante 19,5% (12.800 ingressi) sarà assorbito dai servizi artigiani.

Le filiere in cui l’artigianato esercita il maggiore peso relativo sul fabbisogno di lavoratori stranieri nel quinquennio sono: moda, con il 28,5% (10.400 ingressi – seconda filiera per volumi assoluti); legno e arredo, con il 26,6% (2.700 ingressi); costruzioni e infrastrutture, con il 25,3% (20.900 ingressi – prima per valori assoluti); agroalimentare, con il15,0% (7.500 ingressi); altre filiere industriali, con l’11,6% (7.600 ingressi – terza per volumi assoluti).

«Il problema è culturale – commenta Giorgio Felici, presidente di Confartigianato Imprese Piemonte – perché ci stiamo trasformando in una società che demanda il ‘fare’ ad altri, con l’idea che la realizzazione piena possa avvenire solo dietro una scrivania o perseguendo qualche tipo di chimera ‘glamour’. I Piemontesi e gli Italiani in generale devono recuperare la manualità, il senso del lavoro ‘fisico’ e il ‘saper fare’. Non è un caso che don Bosco fosse delle nostre parti».

«Occorre riconnettere i giovani e, soprattutto, i loro genitori, con l’idea che il lavoro in se stesso ha un’etica fondante per la vita. L’artigianato italiano – conclude Felici – per reggere il passo con l’innovazione, la transizione ecologica e il passaggio generazionale ha bisogno di manodopera formata, stabile e valorizzata. Non si tratta solo di sostituire chi esce dal mondo del lavoro, ma di accompagnare una nuova fase di sviluppo. Serve una politica del lavoro che non sia fatta solo di numeri e quote, ma che sappia leggere i fabbisogni reali delle imprese, investire su formazione professionalizzante e percorsi di integrazione qualificata».

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