Il Vescovo di Novara Brambilla sarà al governo della diocesi per altri due anni

Il Santo Padre ha prorogato il suo incarico, nonostante il raggiungimento dei 75 anni d'età

05/09/2024
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In foto il Vescovo Franco Giulio Brambilla

Il Santo Padre ha prorogato per due anni il governo pastorale nella diocesi di Novara del vescovo Franco Giulio Brambilla, che lo scorso 30 giugno aveva inviato – come previsto dal diritto canonico – la lettera di rinuncia alla Nunziatura apostolica in Italia per il compimento dei 75 anni di età.

Per l'occasione il vescovo ha deciso di scrivere una lettera alla Chiesa novarese con la quale dà l’annuncio della decisione di Papa Francesco.

«Oggi 3 settembre - scrive il vescovo - nella festa di San Gregorio Magno, il papa del Liber pastoralis, ho ricevuto la lettera, datata 24 agosto, con cui Papa Francesco ha “prorogato per due anni” il mio ministero episcopale tra di voi. Con gioia sono grato al Papa per la sua benevolenza e fiducia. Accogliendo di buon cuore il suo invito a portare avanti il cammino intrapreso dodici anni fa, mi pare bello richiamare che questo tempo sarà contrassegnato nell’anno 2025 dal primo Giubileo ordinario del XXI secolo. Vorrei segnalare tre temi che potranno far riprendere con lena il nostro percorso umano, pastorale e spirituale.
Il primo tema è il più importante: occorre riprendere con entusiasmo la pratica della vita cristiana. Dopo gli anni del Covid, resi ancora più poveri di voglia di vivere dal terribile conflitto in Ucraina e della guerra con tantissime vittime nella terra di Gesù, è necessario che la nostra vita torni ad essere illuminata dalla fede, perché dia fiducia alle nuove generazioni e sia capace di infondere speranza e carità. I sacerdoti ritornino al loro ministero con la persuasione che un annuncio ricco di Vangelo, una liturgia celebrata con sobria bellezza, curata e animata da tante presenze, una carità diffusa e generosa, possano ancora far innamorare della vita cristiana. La vita umana senza Parola, Sacramenti e Carità è desolata e disperata, perché la questione essenziale oggi è il declino della fede in Dio come anima dell’esistenza personale, della vita delle famiglie e dell’impegno civile. Non si può credere senza praticare la fede, così come non si può amare senza i gesti dell’amore, della tenerezza e della carità. Torniamo a una fede viva, a comunità fraterne, a una domenica vissuta insieme, a una liturgia orante, come abbiamo vissuto nella indimenticabile celebrazione della beatificazione di don Giuseppe Rossi. I fedeli riconoscono subito una liturgia affascinante che introduce al mistero santo di Dio.
Il secondo tema riguarda il XVII centenario del Concilio di Nicea (325), il primo sinodo ecumenico della Chiesa, quando fu proclamato il credo che professiamo tuttora nella Messa, completato poi al Concilio di Costantinopoli (381), detto il Credo Niceno-costantinopolitano. A questo importante anniversario è dedicata la Lettera pastorale Le dieci parole della fede, nella quale propongo un canovaccio per tornare a spiegare i contenuti centrali della fede. Invito tutti i sacerdoti a far gustare la bellezza della nostra fede che crede in un solo Dio Padre Onnipotente e Provvidente, in un solo Signore che si fa uomo, agisce e soffre con noi e dona la sua vita senza misura per tutti, in un solo Spirito Santo che dà la vita e nutre la nostra anima e plasma la comunità credente nell’unica Chiesa santa, cattolica e apostolica. La vita spirituale è oggi depressa e senza entusiasmo, e sono i giovani che ne patiscono di più l’aridità, soprattutto in una società competitiva e funzionale, ricca di mezzi e possibilità, ma avara di significati per vivere e amare. Torniamo a dire lo splendore della nostra fede che ha cambiato il volto dell’Occidente e Oriente: un mondo senza Dio è come la terra senza sole, senza cielo e senza orizzonte.
Il terzo tema introduce al Giubileo del prossimo anno, con il motto Pellegrini di speranza. Nella bolla di indizione Papa Francesco ha scritto: «La speranza è anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che secondo antica tradizione il Papa indice ogni venticinque anni. Penso a tutti i pellegrini di speranza che giungeranno a Roma per vivere l’Anno Santo e a quanti, non potendo raggiungere la città degli apostoli Pietro e Paolo, lo celebreranno nelle Chiese particolari. Per tutti, possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, “porta” di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale “nostra speranza” (1Tm 1,1). Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza» (Spes non confundit, 1).
Il tempo che si apre davanti a noi è “un anno di grazia del Signore” (Lc 4,19). Abbiamo già percorso un quarto del XXI secolo, un periodo funestato da tragici avvenimenti: è l’ora della svolta per entrare in una stagione di riconciliazione, di serenità e di pace. Vi benedico di cuore!».

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