il Rotary Club Valsesia sostiene un importante progetto in Kenya

Un anno di incontri volti a raccogliere testimonianze umanitarie nei Paesi del sud del mondo

05/11/2024
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Un respiro internazionale anima quest’anno il Rotary Club Valsesia  portandolo a sostenere un importante progetto in corso in Kenya, ad intessere  rapporti con il Rotary Club francese di Chateauroux nell’intento di avviare  iniziative congiunte, ma anche ampliando la conoscenza e competenza dei propri  soci, attraverso relazioni testimoniali di concrete esperienze umanitarie nei Paesi  del sud del mondo. Così dopo il Vescovo Ciocca Vasino con le sue testimonianze  di vita missionaria in Brasile è stato relatore in una recente convivale il Dr.  Stefano Dacquino, offrendoci un’ulteriore prospettiva in ambito sanitario, ma  non solo, con i racconti della sua esperienza professionale in terra d’Africa. 

Il Dr. Stefano Dacquino, Direttore SC Medicina Interna dell’Ospedale di  Borgosesia, da anni partecipa al Programma di Cooperazione Internazionale  CUAMM - Ministero Affari Esteri, Repubblica Italiana - attraverso il quale ha  operato in vari Paesi: a Shangai, in Zimbabwe, in Somalia e in Kenya e in anni  recenti in Sud Sudan, ovvero in uno dei Paesi più poveri e arretrati dell’Africa  subsahariana.  

Sulla base di tali esperienze il suo curriculum conta numerose pubblicazioni  a carattere medico-scientifico e altrettante partecipazioni ad attività didattiche e  di formazione. 

La sua competenza e la sua passione per queste realtà extraeuropee, ben  traspaiono dal suo racconto, riferito all’attività svolta in Sud Sudan e preceduto  da un breve, ma significativo, filmato dell’Associazione Medici con l’Africa  CUAMM.  

Le immagini ci portano sui sentieri dell’Africa dimenticata, dove il diritto  alla salute è negato e dove il lavoro dei volontari, un’avventura coinvolgente quanto difficile nei paesi più fragili dell’Africa subsahariana, fa la differenza tra  la vita e la morte per tante persone. Grande l’impegno dell’Associazione e  significativi i risultati, stando vicino soprattutto alle donne, per aiutarle a non  morire di parto e ai bambini, a nascere e crescere sani nei primi anni di vita,  perché solo attraverso la salute e l’educazione di mamme e bambini possiamo  costruire l’Africa di domani. 

Con un’illuminante panoramica geografica, politica, economica e  antropologica del Sud Sudan, dove ha lavorato per circa tre anni, il Dr. Dacquino  ci ha evidenziato le numerose problematiche che affliggono questa realtà: le  lotte tra le etnie tribali con conseguenti guerre civili, la prevalenza di una cultura  animista, la presenza di tantissimi bambini rispetto agli adulti e anziani, che  dovrebbero sostenerli, uno spazio sterminato e popolato da 12 milioni di  persone e 20 milioni di vacche, diviso in villaggi dove durante la stagione delle  piogge, a causa della esondazione del Nilo, le vie di trasporto e comunicazione  diventano impraticabili; tutto ciò determina continue migrazioni interne cui si  aggiungono quelle di profughi dal vicino Sudan per sfuggire a lotte intestine. 

In tale contesto, la realizzazione di strutture ospedaliere e la loro gestione  rappresenta un probelma non da poco: i reparti sono molto poveri e sobri, dotati  di apparecchiature essenziali e con personale che per il 50% circa è costituito da  infermieri, solo indicativamente tali, in forza di qualche esperienza di soccorso  durante la guerra civile; quindi operatori privi di formazione professionale e  spesso analfabeti. Anche concetti basilari, come ad esempio quello della 

sterilità, richiedono in tale contesto un grande impegno di pratica e  insegnamento, perché manca a monte l’essenziale presupposto della pulizia. L’impegno quotidiano dei medici e di tutto il personale è concentrato  sull’elevata mortalità infantile (70%) determinata dalla malnutrizione; molti altri  interventi sono legati all’ambito traumatologico e chirurgico dovuti spesso a  ferite di armi da fuoco, considerato che la maggior parte delle persone gira  armata a causa dei persistenti conflitti tribali.  

Altro grande ostacolo che si incontra nel cercare di dare un’assistenza  sanitaria o promuovere iniziative di prevenzione è la concezione stessa della  malattia. Le sue cause, almeno quelle batteriologiche o virali, hanno nella nostra  società consapevolezza diffusa e radicata da secoli, mentre per queste culture  che conservano una visione animistica, la malattia costituisce prevalentemente  l’esito di una maledizione di terzi conseguente a cattivi comportamenti nei loro  confronti; le malattie dei bambini vengono ovviamente attribuite a colpe dei  genitori. Su tali presupposti, le persone si rivolgono ai guaritori, agli stregoni che  aiutano a scoprire ed evidenziare i conflitti che stanno alla base delle malattie,  per cercare di riparare il torto originale ed eliminare le cause; a ciò va aggiunto talora il danno di pratiche medicali di tipo occidentale condotte in modo  improprio da soggetti senza le competenze necessarie. 

Un approccio positivo al problema sta nel coinvolgere questi guaritori cui  la gente fa riferimento, cercando di trasfondere le pratiche corrette senza  pretendere di sradicare le usanze e le consuetudini, ma trasformandole e  adeguandole via, via.  

E meglio dare più importanza al “TO CARE”, ovvero al prendersi cura,  piuttosto che al “TO CURE”, ovvero curare, attraverso il progressivo sviluppo di istruzione e formazione. 

Ulteriori spunti di riflessione e di consapevolezza di cui ringraziamo  l’illustre relatore.


 

Direttore: DIEGO RUBERO
AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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