Squartò il barista per 80 euro, dopo due mesi è a casa

La vittima salvata in extremis: "Lo Stato tutela gli assassini, io neppure risarcito"

Diego Pistacchi 30/08/2024
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La ferita della vittima
La vittima chiusa in casa, senza poter lavorare e costretta a rimuginare sul dramma subito. Il quasi omicida chiuso in casa, potendo fare quasi tutto e con l’obiettivo di essere presto inserito in qualche programma di riabilitazione.
Un anno fa un fatto di cronaca nera sconvolgeva Genova. Un barista, 58 anni, incontra in un locale di Molassana, uno dei suoi clienti, che se n’era andato senza pagare lasciandogli  un debito di 80 euro. Lo avvicina, gli chiede conto di quei soldi mai dati. Il cliente mette le mani in tasca, ma anziché banconote tira fuori un coltello e glielo pianta nell’addome. Poi sale con la lama per squartarlo, colpisce ancora l’uomo che crolla a terra in una pozza di sangue. L’immagine che pubblichiamo accanto, scusandoci per la sua durezza, serve a far capire che livello di violenza abbia subito la vittima e cosa abbia realmente rischiato.
L’omicida mancato (per caso) viene arrestato la mattina dopo. Al barista occorrono diversi giorni di coma, ripetute operazioni disperate, la pazienza e l’abilità dei medici per uscire dal pericolo di vita e per vedersi ricucire la pancia come una cima alla genovese. È vivo, ma le conseguenze di quell’aggressione, le ferite nel fisico ma anche nella mente, non gli consentono di tornare a lavorare e oggi vive aiutato dai figli.
«Mi hanno convinto ad andare via qualche giorno – risponde C.M. -. Vogliono farmi uscire un po’ da Genova, per distrarmi. Mi rendo conto di non farcela più, sto davvero impazzendo. Ci sono giorni che rimpiango di non essere morto». Ad aiutarlo non è sicuramente l’idea di sapere che chi lo ha ridotto così ha davanti a sé una vita completamente diversa. Condannato a quasi 9 anni (8 anni e 11 mesi per la precisione) nonostante il rito abbreviato che concede una riduzione della pena, in cella ha passato sì e no otto settimane. Poi ha ottenuto i domiciliari.
«Il mio avvocato mi ha spiegato che la procura ha chiesto il massimo e anche il giudice è stato molto severo – spiega il barista -. Ma è proprio questo che non può esistere. In Italia chi uccide, perché questo mi voleva uccidere e non c’è riuscito solo per mia fortuna, per il gran lavoro dei medici e perché Dio ci ha messo la mano, se la cava con poco. Chi ruba una mela invece sta in galera. Eppure era un pregiudicato». 
Di più, tossicodipendente e con problemi di alcolismo. Che non rappresentano un’aggravante, ma lo spunto per offrirgli una via di riabilitazione. Dovrebbe a breve entrare in un programma dedicato, essere gradualmente reinserito nel mondo del lavoro, nella società. Quindi tornare libero. Tutto a rigor di legge, ovviamente. Quella legge che però la vittima non la tutela affatto. «Cosa devo fare? Lo Stato si preoccupa di chi mi ha squartato, spende soldi per aiutarlo – chiude il suo sfogo amaro C.M. mentre mostra i segni dei punti di sutura che dal costato scendono fino quasi ai genitali -. A me, che non posso lavorare e sono disperato, non dà nulla. Il colpevole è nullatenente e nullafacente. Non può risarcirmi, come pure avrebbe stabilito il giudice. Ma questa storia non può finire così». Il rischio che finisca invece proprio così, perché così prevede la legge, è concreto.
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AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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