Le notizie sono interessanti solo su permesso della Procura
Un Protocollo d'Intesa impone che le forze dell'ordine chiedano l'autorizzazione ai magistrati. Dubbi sulla salvaguardia del diritto di cronaca
Diego Pistacchi 21/08/2024
Palazzo di Giustizia a Genova
L’Europa, nell’ultimo report sui diritti, ha fatto luce su presunti rischi per la libertà di stampa in Italia e per l’indipendenza della magistratura. Ma l’indipendenza della magistratura può spingersi fino al controllo sulla libertà di stampa, in particolare sul diritto di cronaca? E non, ovviamente, in casi estremi, ma, di fatto, quotidianamente.
È un interrogativo che sorge nel momento in cui si riflette su come sono state «tradotte» in Italia le disposizioni della direttiva 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, a proposito della tutela della presunzione di innocenza e di altre garanzie dell’indagato. Norme sacrosante, in parte aggiornate dall’Italia con il decreto legislativo 188/2021. Anche in Liguria ovviamente è stata richiamata la necessità di una comunicazione più corretta sulle notizie di reato e sulle indagini, per questo la stessa magistratura sovrintende comunicati stampa e conferenze stampa, precisa sempre che ogni accusa va considerata «fatta salva la presunzione di innocenza». E queste disposizioni sono riportate in un Protocollo d’Intesa che lo scorso 19 giugno è stato sottoposto dalla procura generale presso la Corte d’Appello di Genova a tutte le procure della Liguria, compresa quella presso il Tribunale dei Minori. Protocollo immediatamente sottoscritto da tutti i responsabili.
Nell’accordo si richiamano i principi di tutela ricordati prima, si concordano «linee operative da seguire» in merito alle notizie da comunicare e sul come comunicarle. Questo naturalmente finché si tratta di informazioni relative a indagini coordinate dalla magistratura, che riguardano operazioni condotte dalla polizia giudiziaria su delega della procura, che conosce anche le necessità investigative e, per particolari situazioni, può ritenere opportuno limitare in parte il diritto all’informazione nel superiore interesse dell’indagine e della giustizia.
Basti pensare a solo titolo di esempio all’opportunità di non svelare un avvenuto arresto se la cosa può aiutare un complice a fuggire.
Il fatto è che il Protocollo d’Intesa si spinge anche a regolamentare l’informazione relativa all’attività quotidiana delle forze dell’ordine. Anzi, i magistrati che lo hanno sottoscritto «convengono sull’opportunità di sensibilizzare i vertici degli apparati della polizia giudiziaria operanti nei rispettivi circondari a limitare le richieste di autorizzazione alla comunicazione ai soli fatti obiettivamente meritevoli di una specifica divulgazione». Già viene introdotto il concetto di autorizzazione. Cioè è il magistrato che deve dire al poliziotto se può dare una notizia. In più, chi può arrogarsi la valutazione su quali fatti siano «oggettivamente meritevoli di divulgazione»?
Questo non è un compito demandato alla magistratura. Che invece interviene sulle forze dell’ordine. E che si rende conto di non poter «stilare una rigida casistica legittimante il ricorso» alla comunicazione. Ma indica alcuni concetti generali, che confermano che si sta parlando non di indagini ma di fatti di cronaca sui quali occorre imporre il vaglio preventivo. Il Protocollo cita «arresti in flagranza, fermi, sequestri di iniziativa, servizi di ordine pubblico, calamità naturale». Questi e altri episodi, secondo l’accordo, dovranno essere comunicati «purché oggettivamente tali da lasciarsi apprezzare in termini di obiettiva rilevanza».
Il diritto di cronaca però non prevede alcuna valutazione preventiva. È semmai diritto-dovere del giornalista, non del magistrato, fare questo tipo di valutazione. Persino fatti non penalmente rilevanti possono assumere al contrario enorme interesse pubblico. Non può essere impedito l’accesso alle fonti sulla base di una valutazione preventiva da parte di un magistrato. Il Protocollo prevede che «a partire dalla data di sottoscrizione, i procuratori inviino alla Procura Generale copia cartacea dei comunicati stampa emessi dai loro uffici, ovvero dagli organismi di polizia giudiziaria a ciò preventivamente autorizzati». Serve cioè una autorizzazione preventiva della magistratura per rendere nota una notizia.
Ancora un esempio pratico può essere d’aiuto a comprendere gli effetti pratici. Proprio negli ultimi giorni si stanno intensificando le azioni delle forze dell’ordine in centro storico e nelle zone di Genova a più alto rischio di quella che a volte erroneamente viene definita microcriminalità. Microcriminalità forse da un punto di vista penale, visto che gli autori dei reati non vengono mai o quasi messi in carcere o sottoposti a stringenti misure cautelari. In questo caso però l’interesse pubblico è diametralmente opposto a quello giudiziario. Perché alla gente comune subire un furto, vedere lo spaccio sotto casa, sapere che la figlia può essere molestata in strada, o il figlio aggredito e rapinato magari da un coetaneo mentre passeggia con gli amici, provoca un maggiore senso di insicurezza e di rabbia nei confronti delle istituzioni, rispetto a casi magari clamorosi dal punto di vista penale.
Sapere che carabinieri, polizia, finanza, polizia locale, esercito, ogni giorno sono sul campo e operano arresti, fermi e denunce, è importante anche a fronte di quotidiane lamentele di chi vive le zone più a rischio. È giusto che questo diritto all’informazione possa essere limitato da una preventiva autorizzazione di un magistrato? È giusto che magari il poliziotto che ha appena arrestato uno spacciatore se lo ritrovi davanti il giorno dopo perché è tornato già libero e debba subire anche la beffa di sentire le imprecazioni di un cittadino che lo accusa di non fare il proprio mestiere?
Ultimo dettaglio. Il Protocollo d’Intesa firmato dai magistrati liguri, è stato poi anche sottoposto, esattamente un mese dopo, il 19 luglio, anche ai comandanti di tutte le forze dell’ordine della Liguria, chiamati a loro volta ad accettarlo. Con la firma, sono stati impegnati «a prendere atto» di quanto deciso dai magistrati, ad «approvare i parametri valutativi contenuti nel protocollo, condividendo innanzitutto il fratto che, in relazione al ventaglio di ipotesi astrattamente idonee a legittimare la richiesta di autorizzazione a dare corso, eccezionalmente a conferenza stampa, o ordinariamente a comunicato stampa, imprescindibile risulti il dato di fatto della obiettiva meritevolezza della divulgazione degli accadimenti coinvolgenti l’intervento dello specifico apparato di polizia giudiziaria, con esclusione pertanto di quelli di scarsa o, addirittura, nessuna rilevanza - come in alcuni casi è stato riscontrato - rispetto all’effettivo interesse pubblico alla loro conoscenza». C’è quindi addirittura la tirata d’orecchia per aver già divulgato notizie che i procuratori non ritenevano rilevanti. Se qualche giornalista però le ha pubblicate, evidentemente le ha ritenute di interesse pubblico.
Il richiamo dell’Europa era alla tutela dei diritti dell’indagato, alla sua presunzione di innocenza, ma anche al diritto di cronaca messo in pericolo in Italia. Ci sono già state manifestazioni dell’Associazione della Stampa che riteneva i giornalisti imbavagliati da alcune leggi che limitavano la pubblicazione delle intercettazioni se non rilevanti ai fini dell’indagine. La preventiva autorizzazione e la valutazione avocata dai magistrati liguri circa l’interesse pubblico sembrano spingersi addirittura al filtro della notizia stessa.
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