Il Pd vuole anche il vice governatore e gli alleati fanno saltare il campo largo

In Liguria il centrosinistra solleva problemi su tutto dopo che i dem hanno chiesto anche la seconda poltrona in giunta

Diego Pistacchi 28/08/2024
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Luca Pastorino e Andrea Orlando
L’estate sta finendo e il tempo se ne va. Chi non sta diventando grande è il campo largo del centrosinistra. Che in vista del voto di fine ottobre, oggi scopre anzi di perdere certezze e qualche pezzo. Ieri il vice presidente vicario della Regione, Alessandro Piana, ha diffuso la notizia dell’approvazione con il prefetto Cinzia Torraco dello «schema di intesa che dovrà essere approvato dalla giunta regionale venerdì 30 agosto». Roba tecnica, apparentemente senza notizia. Ma il passaggio operativo è quello che getta le basi «per la gestione delle elezioni previste il 27 e il 28 ottobre». Cioè esattamente tra due mesi. E siccome questo accordo metterà in moto la macchina organizzativa, proprio mentre da Roma arrivano scarsi entusiasmi sull’ipotesi di election day, significa che la data ben difficilmente cambierà e sarà una campagna elettorale brevissima e per questo ancor più esplosiva.
Di candidato finora ce n’è uno solo, Nicola Morra, e non è quello del centrodestra, ma neppure quello del centrosinistra: rappresenta quel movimento «Uniti per la Costituzione», che già alle Comunali di Genova, con Mattia Crucioli, ha tolto ai pentastellati moltissimi voti di grillini fedeli ai principi di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. L’erede designato di Giovanni Toti per il centrodestra deve essere indicato. Voci convergenti indicano la data del 30 agosto (dopodomani) per l’incontro decisivo per scegliere tra Ilaria Cavo e Pietro Piciocchi, a meno di un riuscito pressing dell’ultimo momento su un civico come Lorenzo Cuocolo o Beppe Costa. Ma tutto il resto c’è. C’è una coalizione, c’è un programma, peraltro già rodato da nove anni di amministrazione e di risultati oggettivamente positivi riscontrati da istituti terzi e super partes per quanto riguarda la crescita economica e l’appeal della Liguria.
Per il centrosinistra non avere un candidato è molto peggio. Intanto perché significa avere meno di quello che c’era due mesi fa, quando Andrea Orlando aveva rifiutato la candidatura alle Europee chiestagli personalmente dal grande capo Elly Schlein,  per  potersi candidare a governatore della Liguria nella spavalda certezza di una vittoria già ottenuta con il tintinnar di manette. Ora lo stesso Orlando fa finta di dare l’ultimatum e di essere pronto a ritirarsi se non si sbrigano a confermarlo.
Ma la realtà che conoscono tutti è che Orlando è solo il simbolo di tutto quello su cui il centrosinistra non va d’accordo. Il M5S mette in campo Luca Pirondini, che si affretta a dire di «non essere contro Orlando». Infatti è una presentazione di una cambiale al Pd, che vuole tutti i presidenti delle tre Regioni al voto, ma in Liguria ha già fatto sapere di puntare, in caso di vittoria, anche alla vice presidenza della giunta per il savonese Roberto Arboscello. E non è un caso che improvvisamente, senza che ci fossero grandi fatti nuovi, si siano scatenati gli attacchi al campo largo da tutti gli alleati.
Di raccattare e mettere insieme chiunque pur di battere il centrodestra nel nome dell’antitotismo l’aveva auspicato persino Ferruccio Sansa in tutti i consigli regionali successivi all’inizio dell’inchiesta. Lui stesso, tre giorni fa, ha invece iniziato a spiegare che «il consenso non si conquista imbarcando tutti. Ma costruendo un’identità precisa. Con la credibilità». Al netto dell’ultima precisazione che fa comprendere perché si sia proprio a zero o quasi, l’ex candidato governatore pone il veto all’ingresso nell’alleanza di Matteo Renzi e della sua Italia Viva che «quasi tutte le forze del centrosinistra hanno detto in tutti i modi di non volere». Quando mai?
Sì, lo ha detto e ripetuto in questi giorni il M5S, con il suo portavoce genovese Stefano Giordano, ma più o meno la tempistica è sempre la stessa della candidatura Pirondini. Improvvisamente qualcosa si è rotto. Lo stesso Carlo Calenda ha più volte sottolineato di non essere d’accordo a fare parte di una coalizione tenuta insieme solo dal collante del giustizialismo e di volere garanzie sulle infrastrutture, di essere soddisfattissimo (come Renzi peraltro) dell’operato di Marco Bucci, con buona pace di Pippo Rossetti e Cristina Lodi che si sentono più che mai parte integrante della sinistra senza se e senza ma. Puntuali sono arrivati gli strali di Sansa e compagni contro le opere in programma a Genova in Liguria. 
I centristi fanno finta di non essere infastiditi dall’essere schifati dalla sinistra un giorno sì e l’altro anche. Se Lella Paita tace o rivendica la sua sete di rivincita su Toti, Renzi dice di aver ormai fatto la scelta (#orlandostaisereno) di campo. Ma ad esempio una figura senza dubbio civica eppure considerata vicina a Italia Viva, come Tonino Gozzi, in due settimane ha già sparato due siluri dagli spazi della sua testata online «Piazza Levante» che affondano la sinistra proprio sul buongoverno mostrato in questi anni dal centrodestra. E anche in Parlamento, quando si parla di politica e magistratura, dai banchi di Azione e Italia Viva si levano voci durissime quanto autorevoli, come quelle di  Enrico Costa o Roberto Giachetti, che si chiamano fuori dal sentire comune forcaiolo della sinistra, citando proprio il caso Liguria, che anche altri esponenti (Mariastella Gelmini su tutti) citano come pessimo esempio di campo largo. E in tutto questo bailamme c’è chi resta in silenzio, dietro le quinte, disponibile nel caso al centrosinistra servisse un Cincinnato di provincia: Luca Pastorino.
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AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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