Le ricorrenze per questa «cifra tonda» portano a interrogarsi sul futuro ambientale del nostro territorio
Valentina Sandrone 07/11/2024
Trent’anni dalla Grande Alluvione, con questo nome tutt’altro che fuori luogo viene ricordata l’alluvione piemontese del 1994. La «cifra tonda» della tragedia che colpì le province di Cuneo, Asti e Alessandria è caduta proprio nel corso di questa settimana, in particolare tra il 4 e il 6 novembre, ed è stata un’occasione sia per ricordare, sia per interrogarsi sul futuro del nostro territorio.
Dopo numerosi giorni consecutivi di pioggia, e i rovesci incessanti della notte tra venerdì 4 e sabato 5 novembre 1994, il fiume Tanaro, storica «via d’acqua» che unisce il basso Piemonte, iniziò a ingrossarsi visibilmente e pericolosamente a Ormea, nell’alta Valle Tanaro. Inizia così una tragedia di portata immane. Il Tanaro in piena scende travolgendo tutto ciò che incontra sul suo cammino, arrivando ulteriormente ingrossato e divoratore ad Asti e Alessandria domenica 6 novembre, dove la sua piena ricoprirà ogni cosa.
Garessio, Priola, Bagnasco, Nucetto, Ceva, e poi giù fino all’albese. Il Tanaro si prende tutti i Comuni che si affacciano sull’attuale strada Fondovalle Tanaro, inondando e demolendo: il ponte di Clavesana si sgretola come una costruzione di mattoncini Lego, l’ospedale di Ceva è allagato, arrivano richieste di soccorsi da tutti i Comuni della zona, quali Roascio, Sale Langhe, Lisio, Battifollo, Vicoforte, Mombasiglio, e molti altri ancora. Il paesaggio del cuneese nell’arco di 24 ore non sarà più lo stesso, con i paesi inondati da acqua melmosa e le strade cancellate,
Il 6 novembre Asti e Alessandria subiranno la stessa fine con esiti ancora peggiori: Ceva, Alba e Asti risulteranno sommerse per un terzo della loro estensione, Alessandria per il 50%, 29 morti nella Granda, 70 il computo complessivo di tutte le zone coinvolte dalla piena. Ad aggravare la situazione i mezzi di comunicazione ben lontani dalla velocità del «clic» a cui siamo abituati oggigiorno, ritardati ulteriormente dalla chiusura degli uffici nei giorni del weekend, situazione che ha reso impossibile comunicare tempestivamente le condizioni del fiume e del rischio idrogeologico in corso.
Oltre all’ingente perdita di vite umane, all’indomani della tragedia si devono contare anche i danni economi, che tra crolli infrastrutturali e perdite delle grandi aziende del territorio (si ricordino, tra tutte, la Ferrero, la Mondo e alcune cantine delle Langhe) ammontano a svariati miliardi di Lire.
La solidarietà non tarda ad arrivare con raccolte fondi da ogni parte d’Italia e con la presenza in loco delle istituzioni, un’Italia che si stringe intorno alle comunità messe in ginocchio da quella che il ministro Raffaele Costa definirà «la più grande catastrofe atmosferica del secolo». Ma oggi, con le sensibilità e le consapevolezze che hanno forgiato la nostra società in questi ultimi trent’anni, che cosa ereditiamo da quella drammatica esperienza? Innanzitutto la memoria collettiva, fatta di racconti tramandati da nonni e genitori, la volontà di non smettere di ricordare, e poi la capacità e la dignità del risollevarsi, letteralmente, dal fango. Dall’immane tragedia che colpì il Piemonte nacque infatti, sulla scorta e sull’esempio delle Misericordie accorse da altre Regioni, l’attuale Protezione Civile, che nell’arco di questi decenni tanto ha fatto e continua a fare in ogni situazione di emergenza, portando un aiuto concreto e un supporto morale nei territori colpiti da simili disgrazie.
C’è da chiedersi però, guardando ciò che accade anche in Paesi a noi vicini, se abbiamo imparato a riconoscere i segnali e a rispettare l’ambiente che ci circonda, su una Terra sfruttata nelle sue risorse e ormai caratterizzata da un incontrovertibile cambiamento climatico. Quello che sappiamo è che non possiamo limitarci a ricordare e raccontare, ma dobbiamo adoperarci, passo dopo passo, per limitare le catastrofi ambientali e rendere il mondo un luogo più sicuro per chi lo abiterà dopo di noi.
Ieri eravamo noi, oggi la Comunità Valenciana, l’augurio per il domani lo affidiamo alle parole del grande scrittore cuneese Nuto Revelli: «La speranza è che questa lezione non si ripeta. Tornerà il sole. Si ricostruiranno le strade e i ponti. Ma dovremo uscire dall’ignoranza di sempre. O impareremo a rispettare il territorio, o questa storia continuerà a ripetersi».
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AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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