Ricordando Carlo Bergonzi nel centenario della nascita

Nel 1999 ricevette il Premio “Opera-Città di Mondovì”

Bruno Baudissone 11/11/2024
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Ricorre quest’anno il centenario della nascita di un cantante lirico amato dal pubblico e osannato dalla critica: il tenore Carlo Bergonzi. Nato a Vidalenzo (Parma) il 13 luglio 1924, Bergonzi a sedici anni iniziò a studiare come baritono con Ettore Campogalliani, debuttando nel 1947 a Varedo (Milano) come Figaro nel Barbiere rossiniano. Durante la carriera da baritono, nel 1949 si accorse di essere, in realtà, tenore. Senza aiuti esterni, da autodidatta, studiò nella nuova corda vocale, preparando alcuni ruoli tenorili che lo portarono a debuttare nel 1951 a Bari in Andrea Chénier. Nello stesso anno cantò in Adriana Lecouvreur con Magda Olivero a Prato e, in occasione delle celebrazioni per il cinquantenario verdiano, venne scritturato dalla RAI per interpretare in radio Giovanna d’Arco, I due Foscari e Simon Boccanegra, oltre a Pagliacci di Leoncavallo. 
     Diede così inizio a una prestigiosa carriera che lo portò, già nel 1953, a debuttare alla Scala di Milano, allo Stoll Theatre di Londra e al Colòn di Buenos Aires. Nel 1955 si presentò negli Stati Uniti alla Lyric Opera di Chicago (Il tabarro, L’amore dei tre re) e nel ’56 debuttò al Metropolitan di New York in Aida. Notevoli le sue presenze, negli anni, alla Scala, dove cantò La forza del destino, Simon Boccanegra, Aida, Mefistofele, Elisir d’amore, Il trovatore e Un ballo in maschera. 
     Considerato dai critici più autorevoli il tenore verdiano più qualificato del Novecento, Bergonzi è stato l’unico ad incidere tutte le arie tratte dalle opere verdiane, da Oberto, conte di San Bonifacio a Falstaff. Pur non avendo lo squillo argentino e travolgente di Lauri Volpi e di Pavarotti, il nostro tenore si fece apprezzare per la varietà del fraseggio, l’aderenza alla parola cantata, la voce possente, capace di piegarsi in carezzevoli mezzevoci e sorretta da una tecnica d’emissione magistrale. In “celeste Aida” fu il primo a proporre l’acuto finale attaccato con forza e poi smorzato fino al pianissimo, come prescritto da Verdi (per questo fu contestato ingiustamente dai loggionisti del teatro Regio di Parma e lui, per risposta, non tornò più in quel teatro). 
     Al di fuori dell’ambito verdiano, Bergonzi ci ha lasciato splendide testimonianze discografiche dell’Elisir d’amore (con la Scotto), de La bohème (con la Tebaldi), di Lucia di Lammermoor (con la Moffo), di Tosca (con la Callas), di Gioconda (con la Tebaldi), di Cavalleria rusticana (con la Cossotto e la direzione di Karajan).
     Ma, riconosciuto a Bergonzi il prestigio assoluto come interprete lirico, vorrei suggerire l’ascolto (sul canale You Tube) di alcune canzoni che il nostro registrò negli anni Sessanta, scegliendo fra i successi del momento: “La musica è finita” di O. Vanoni, “Il mondo” di J. Fontana, “E se domani” di Mina, “L’immensità” di Don Backy, “Non pensare a me” di C. Villa, “Se non avessi più te” di G. Morandi.  E qualche anno dopo incise una serie di classici napoletani, da “Voce ’e notte” a “Piscatore ’e Pusilleco”, da “I’ te vurria vasà”  a “’Na sera ’e maggio”, con risultati ragguardevoli. In uno dei nostri incontri, Bergonzi mi confidò che, a parte il repertorio operistico, considerava la sua migliore esecuzione quella della canzone napoletana “Chiove” (Chi si’? Tu si’ ’a canaria...). 
     Nel 1999 gli fu assegnato il Premio “Opera-Città di Mondovì” come voce illustre. In quell’occasione, nell’Antico Palazzo di Città a Mondovì Piazza, fu allestita una mostra sulla sua carriera, con locandine, fotografie e dischi.
     Dopo il ritiro dalle scene visse fra la sua casa di Milano e la residenza di Busseto (Parma), dove aveva aperto il ristorante “I due Foscari”. Morì in una clinica di Milano il 26 luglio 2014. Aveva festeggiato da pochi giorni i novant’anni.
 
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