Qualche giorno fa, il 6 ottobre, si sono idealmente celebrati i cent’anni di servizio pubblico radio-televisivo. Altrettanto idealmente li facciamo coincidere con i cent’anni di radio, nel nostro paese.
La radio, un mezzo straordinario che più epoche hanno condannato a morte, ma che - non ponendosi mai in antagonismo con chi è arrivato dopo - è sempre sopravvissuto, ricollocandosi e reinventandosi, mantenendo una vitalità e una freschezza sorprendenti.
La radio, che ancora oggi è nostra compagna di vita e di avventure, presenza discreta quanto forte.
La radio che è sottofondo delle nostre esistenze.
La radio che in breve tenpo, cent’anni fa, divenne la compagna quotidiana non solo delle casalinghe, ma di diverse categorie professionali, delle famiglie stesse, che con essa sostituirono il focolare, tradizionale luogo di riunione serale.
Come già in altri paesi, anche nel nostro il mezzo radiofonico portò con sé un mutamento profondo, accompagnando gli italiani in un’evoluzione verso modelli di società di massa; cambiò comportamenti e modi di essere, ingenerò abitudini come l’ascolto serale e famigliare della prosa o della musica classica o lirica, come l’attenzione per la partita di calcio in diretta la domenica a discapito del riposo e della gita fuori porta, come l’adattamento all’ascolto della lingua nazionale in una babele infinita di dialetti.
In questa pagina riviviamo i primi vent’anni della radio, ripercorrendo alcune tappe importanti, i presupposti, atmosfere culturali nella quale nacque e si sviluppò, fino al secondo conflitto mondiale.
Gli esordi per pochi “radioamatori”
La radio degli esordi è affare per pochi. Già prima della Grande guerra, comunque, operavano i primi “sans filist” che - raccolti in associazioni amatoriali – si occupavano prevalentemente di tecnica di trasmissione del segnale, di trasmissione del suono, di sintonizzazione delle frequenze.
Le trasmissioni – anche quelle che arriveranno dal fronte – sono più di carattere privato, all’epoca ancora non si colgono le potenzialità di diffusione di programmi destinati al pubblico.
Solo dopo la guerra il prodigio di Marconi diventa alla portata di tutti, prima sotto l’aspetto tecnico, poi lo sarà anche dal punto di vista economico.
L’asse regime-imprenditoria
La spinta perchè ciò accada arriva sia dal mondo politico, che da quello imprenditoriale. È il regime fascista a cogliere la potenzialità del mezzo radiofonico, quello industriale lo segue a ruota, fiutando un affare che diventerà gigantesco. Dai primi ricevitori che sono per lo più mezzi elitari – con i ceti popolari costretti alla radio a galena che, al prezzo medio di cento lire, si ascoltava solo in cuffia – l’industria, appoggiata dalle scelte governative, andrà a realizzare apparecchi sempre più economici; fino allo slogan “Ogni villaggio deve avere la radio”, che porta alla diffusione di Radiorurale prima (apparecchi a 600 lire acquistabili a rate da scuole, parrocchie, associazioni sportive...), di Radiobalilla e di RadioRoma poi, i primi veri apparecchi popolari. Tutto questo prima che per gli industriali l’ago della bilancia si sposti, ed il grande affare diventi il secondo conflitto mondiale.
Prova ulteriore di questa fitta commistione tra politica e industria è che, quando nel 1924 nasce l’Unione Radiofonica Italiana con l’obiettivo di mettere ordine nel mondo radiofonico e di dare una certa organicità alla programmazione, al timone c’è Enrico Marchesi, ex-direttore centrale della FIAT, che pur dipende direttamente dal Ministero della comunicazione di Ciano.
Sono tempi in cui serpeggia silente (ma non troppo) una lotta di potere tra il gruppo di governo, legato come si è visto a doppio filo a quello industriale ed imprenditoriale, e Guglielmo Marconi, che la radio l’aveva di fatto inventata e che possedeva la conoscenza tecnica più approfondita: Marconi ne uscirà sempre sconfitto, sino al suo ideale ritiro dalla competizione nel 1928, quando all’URI succede l’EIAR, ente a maggioranza privata che rileva la concessioni dello stato per le trasmissioni circolari in regime di monopolio: il pacchetto azionario societario è saldamente in mano alla Società Idoelettrica Piemontese, controllata di fatto dal gruppo Agnelli e dai maggiori industriali italiani. Marconi rinuncerà così al suo ruolo imprenditoriale - pur ottenendo in cambio l’appalto per l’assistenza tecnica e, successivamente, la realizzazione della potente Radio Vaticana – concentrandosi sugli esperimenti e sulle ricerche che porteranno a consistenti scoperte che saranno la base dell’avventura della televisione.
La prima trasmissione
Come i lettori attenti al grande battage mediatico di questi giorni avranno già appreso, il 6 ottobre 1924 l’URI inizia le sue trasmissioni stutturate: la base è l’Auditorio Roma-1, in via Maria Cristina, in un palazzo (oggi distrutto) del quartiere Parioli, dove viveva Trilussa. La prima trasmissione è un concerto di musica classica. E proprio la musica rimane per lungo tempo la parte preponderante (55-60%) dei contenuti: il primato dei musicisti di regime è di Piero Mascagni, a contenderglielo Ildebrando Pizzetti ed Ottorino Respighi.
L’opera lirica, il concerto serale, diventano rapidamente compagni di vita delle giornate degli italiani. Ma dopo una fase iniziale ci si accorge che la musica non basta più: vengono allora introdotte le conversazioni brillanti, in diretta, che spezzano il ritmo altrimenti monotono della musica. Gli speaker dell’epoca vanno in onda in grandi stanzioni coperti da pesanti tende di broccato in stile, con l’arredamento dell’epoca, coniugando gusto a necessità acustiche; al centro su un castello di legno, c’è un microfono, che accoglie trasmissioni che durano 10 minuti.
I conferenzieri inizialmente sono scelti tra i principali affabulatori dell’epoca, ma presto ci si rende conto che la radio richiede qualcosa di più. Linguaggi e ritmi specifici. Ecco che allora gli oratori radiofonici - che presto diventano veri e propri beniamini degli ascoltatori - vengono attinti a piene mani dal mondo dello spettacolo: uomini di teatro come Enzo Ferrieri, umoristi come Achille Campanile, scrittori come Riccardo Bacchelli, poeti come Ada Negri e Filippo Marinetti, e poi ancora giornalisti, scrittori per l’infanzia, ma anche predicatori religiosi.
Già, la religione, parte importante di quest’astro nascente chiamata radio. E pensare che agli esordi la Chiesa non vede di buon occhio il mezzo radiofonico, equiparato a malvagia mano demoniaca pronta a seminare cattivo gusto e peccato nelle case degli italiani. Ma dal 1928, quando il francescano Vittorino Facchinetti riceve la dispensa vescovile per celebrare al microfono il settimo centenario del suo ordine, conquistando un successo clamoroso, le cose cambiano. Anche la Chiesa fiuta la potenza del mezzo. Partono le rubriche, e ognuna delle stazioni radio – cresciute, nel frattempo: a Roma si aggiungono Milano-1 (1925), Napoli (1926), Bolzano e Genova (1928), poi arriverà Torino (1929) – avrà il suo predicatore, con la sua rubrica. Le cose si cristallizzeranno meglio con il riavvicinamento tra Chiesa e stato, ancor più coi Patti lateranensi del ‘29 che portarono tra l’altro all’accordo per la realizzazione da parte del regime fascista della Radio Vaticana inaugurata nel ‘31.
L’ispirazione di Goebbels e la revisione
Un taglio netto col passato, una ristrutturazione profonda si registra nel 1933, a seguito di un incontro illuminante con le dinamiche che governano la radio nazista di Goebbels. In breve tempo, sfruttando l’esistente con una maggiore programmazione a monte si passa da una rete con 3-4 ore giornaliere di trasmissione a tre reti con 17 ore giornaliere. Il 56% è musica, l’11% informazione, il 33% sport, teatro, programmi per bambini.
Artefici del giro di vite sono Galeazzo Ciano e il membro del Gran consiglio Roberto Forges Davanzati: a loro si deve anche la nascita della pura propaganda con le “Cronache di regime”, dieci minuti legati al commento degli avvenimenti nazionali e internazionali, raccontati con un linguaggio molto semplice e diretto. In tutto ciò si innestano le prime guerre volute dal regime, che portano allo sviluppo dei notiziari radiofonici come il Giornale radio: nascono i primi inviati speciali, mentre cresce l’onda propagandista, la radio diventa cassa di risonanza delle manifestazioni di regime inserite nel calendario fascista.
Se le audizioni circolari nel 1930 (quando l’editoria si accorge della potenza della radio iniziando pubblicazioni regolari degli interventi radiofonici più graditi al pubblico: nascono Radiorario prima e Radiocorriere poi) contavano 100mila abbonati, complice anche una maggiore accessibilità ai mezzi di ricezione nel 1935-36 gli abbonati salgono a mezzo milione.