Automotive: discussa a Cuneo la crisi del comparto
Una mattinata di lavori presso la sede di Confindustria: green deal, Cina e USA osservati speciali
Valentina Sandrone 01/04/2025
Filiera automotive: sorvegliata speciale. È questo l’evento che si è tenuto nella mattinata di ieri in Confindustria Cuneo. Un titolo quanto mai esaustivo, che ha permesso fin da subito di comprendere la delicatezza del tema, dove il protagonista è appunto il comparto dell’autoveicolo, uno dei settori trainanti dell’economia italiana e piemontese, particolarmente colpito dalla congiuntura politico-economica degli ultimi anni.
Lo stato di salute attuale dell’auto, come evidenziato dal moderatore, il giornalista Andrea Bignami, sta attraversando una crisi che va oltre le crisi cicliche e che si innesta su fattori maggiormente complessi.
Dopo i saluti della sindaca di Cuneo Patrizia Manassero, i lavori della giornata sono entrati nel vivo con gli approfondimenti di alcuni esperti.
Giorgio Rolfi, presidente della sezione meccanica di Confindustria Cuneo, ha evidenziato come si siano verificati cali di produzione dell’11,3 % nel 2024 e come si sia registrato un inizio 2025 già particolarmente difficile, anche a causa delle perdite di fette di mercato, pari al 12% in Europa e con il picco spaventoso di -30% in Italia. Il mercato dell’auto sta in realtà vivendo una crescita a livello globale, crescita che però non interessa l’Italia e l’Europa, dove questo settore arranca.
Di pari avviso è stato Luca Crosetto, intervenuto quale presidente di Confartigianato e della CCIAA di Cuneo. In una Provincia come la Granda, dove esportazioni nello scorso anno sono comunque cresciute considerevolmente e hanno raggiunto la cifra degli 11 miliardi, l’automotive ha comunque creato un’importante strascico di difficoltà. Il cuneese è comunque in una situazione rosea rispetto al resto di buona parte del Paese e rispetto alle province piemontesi, in particolare in confronto a Torino, dove le conseguenze della crisi dell’auto si stanno facendo sentire pesantemente, ma questo non significa che possiamo «sederci sugli allori».
L’analisi tecnico-economica è poi stata affidata a Gianmarco Giorda dell’Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica), a Guido Bolatto, segretario generale della CCIAA Torino, e a Marco Rosatello, consigliere Arproma (Associazione revisori produttori macchine agricole). Il settore risulta chiaramente in sofferenza. In una Regione che vede 713 imprese automotive, ponendosi prima in Italia per questo settore, e per un totale di 20 miliardi di indotto e di 56000 addetti, le contrazioni di mercato sono inevitabilmente un grave danno. Per questo, come ricordato da Rosatello, è opportuno diversificare e andare a sviluppare ricerca e prouzione meccanica anche in settori limitrofi o assimilabili, quale quello delle macchine agricole, settore di cui l’Italia è leader nel mercato internazionale.
I tre grandi filoni problematici per l’automotive, come emerso dalle digressioni, sono il green deal, l’espansione industriale di mercati precedentemente considerati «marginali», in particolare la Cina, e da qualche settimana i dazi statunitensi.
I timori legati a queste tre macrotematiche sono stati confermati anche durante la tavola rotonda che ha visto coinvolti l’assessore regionale alle Attività produttiva, il senatore Giorgio Maria Bergesio, la delegata Confindustria Piemonte per l’automotive, Patrizia Paglia, e, connessi da remoto, Andrea Bartolomeo, country manager e vicepresidente MG Motors Italy, Oliver Zander, direttore Gesamtmetall, Michele Crisic, presidente e AD di Volvo Italia e presidente dell’Unione Nazionale Rappresentnati Autoveicoli Esteri e l’eurodeputato Giovanni Crosetto.
La transizione ecologica, attualmente prevista al 100% per il 2035, deve essere graduale e graduata da norme né improvvise, né modificate o applicate in tempi non consoni con la necessità di rapidità dell’azione delle imprese. Inoltre, sempre di più si punta sulla neutralità tecnologica, e cioè sull’applicazione libera di tecnologie ritenute atte allo scopo, senza che produttori e consumatori debbano per forza adottare strumentazioni non idonee ai singoli casi e ai desideri degli utenti. Per una transizione ecologia effettiva e in grado di garantire i posti di lavoro, poi, bisogna invertire il trend e ridurre il costo delle auto elettriche, attualmente stimato il 40% in più rispetto a quelle a carburante.
Allo stesso modo, le difficoltà che i dazi pongono nell’esportare materiali e componenti degli autoveicoli verso il mercato USA, da sempre molto vicino all’Europa e, segnatamente, all’Italia, va a minare uno dei fondamenti della produzione auto: la sua globalizzazione e internazionalizzazione.
Infine, la grande fetta di mercato cinese sta cambiando le carte in tavola. La crisi dell’auotomotive, molto prima del green deal, come ricordato da Crisci, è avvenuta quando le imprese europee hanno ceduto ingenti fette di produzione ad atri mercati, e nello specifico proprio alla Cina. Gli acquirenti cinesi però oggigiorno sono votati all’acquisto di mezzi prodotti dai loro stessi marchi, dalle loro case automobilistiche, e sono stati precoci e decisamente più pronti rispetto alla transizione e alla sostenibilità. Quando, infatti, nel lontano 2008 l’Europa ha lanciato la prima iniziativa di transizione ecologica, la Cina ha affrontato questo come una sfida per raggiungere e, forse, superare il Vecchio Continente. Così facendo, con uno sforzo economico immane e con concreto impegno governativo, il Dragone ha avviato produzioni all’avanguardia, ormai quasi totalmente in grado di competere con l’Occidente.
Ma qual è allora la ricetta per uscire dalla crisi? Innanzitutto, come ricordato dal senatore Bergesio, serve la serietà e la volontà di investire da parte delle giga-factory dell’automotive. È poi necessario che la politica, soprattutto quella europea, stia al passo con i tempi richiesti dall’industria, tempi snelli e veloci. Infine, la politica locale può supportare produttori e imprenditori con finanziamenti, fondi e con accordi con il sistema bancario in grado di aiutare le filiere produttive.
In Europa il Pil legato alla ricerca e all’innovazione dell’automotive è pari a 72 miliardi di euro, quasi il doppio di quello prodotto dal settore medico-farmaceutico. La ricetta univoca forse non c’è, ma quel che è certo è che serve un’azione congiunta di decision-maker, produttori e consumatori affinché questo patrimonio di know-how tecnico, di posti di lavori e di distribuzione di ricchezza non vada perduto a fronte di agguerriti mercati emergenti.
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AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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