La cucina tradizionale piemontese non è mai sata una cucina di stampo francese. Infatti, fin dal principio, la Contea di Moriana prima e il Ducato di Savoia poi, hanno sempre cercato di rimarcare la propria autonomia in qualunque campo rispetto all’ingombrante e potente Francia. E la cucina non fece eccezione.
Il primo ad intuire la potenzialità della cultura culinaria come movente politico la ebbe Carlo Emanuele I.
La corte doveva essere ricca, sfarzosa e mangiare i piatti provenineti dalle varie tradizioni locali.
Per tale raglione Carlo Emanuele I, così come fecero i suoi successori, si circondarono di cuochi provenienti dalle varie località dello stato sabaudo. La cucina piemontese ha radici popolari, infatti, i sovrani volevano prendere cuochi plebei, così che portassero a corte i cibi tradizionali di un dato territorio.
Per questa ragione, la cucina regionale nostrana si basa sul recupero degli avanzi. Un esempio sono proprio i celebri agnolotti ai tre arrosti, i quali venivano preparati dalle massaie delle Langhe con gli scarti e gli avanzi di carne. Tuttavia, non si mangiavano come oggi. Venivano messi in grandi teglie, coperti di burro e poi infornati. Oppure, così come tutti i tipi ti pasta, venivano adagiati sotto le portate di arrosto e mangiati come una sorta di contorno.
Altri casi che si possono citare sono i flan di verdure, la giardiniera, il carpione, le torte salate..., tutti piatti inventati per riutilizzare gli scarti.
La stessa finanziera, quella sorta di minestra fatta con frattaglie varie, tra cui i bargigli del gallo, era cucinata per non buttare via nessuna parte dell’alnimale. La stessa cosa vale per i pasticci, da cui nasce il nome pasticcere che nei secoli scorsi non era colui che preparava i dolci, che invece si chiamava confetturiere.
Tutte le ricette sopra elencate erano pensate per recuperare gli avanzi dei giorni precedenti.
In ogni caso, molto usati nella cucina regionale piemontese sono i piatti a base di lingua. Ciò, è dovuto al fatto che nella società di antico regime, quando veniva uccisa una vacca, la lingua spettava al signore come diritto feudale.
Infine, i piatti a base di oca o ceci derivano dalla comunità ebraica che in Piemonte era abbastanza numerosa, così come quella valdese che ha portato al di qua delle Alpi il tè. Infatti, essendo di fede protestante, i valdesi mandavano le figlie in Germania o in Inghilterra e lì presero l’abitudine di consumare la bevanda.
Invece, un alimento che oggi non può mai mancare in una cena tipica piemontese è il formaggio. Tuttavia, fino a non molto tempo , era considerato un poco elegante e quindi non nobile.
Veniva considerato come un cibo sportivo, da portare con sè, per esempio, durante le battute di caccia.
Nondimeno, per nobilitarlo, il formaggio veniva consumato insieme alle pere: l’unico frutto che si mangiava crudo nel Medioevo.
Ciò era dovuto al fatto che la frutta si deteriorava facilmente e perciò con essa si facevano composte o marmelate.
In merito al formaggio, vi è un aneddoto divertente su Carlo Magno.
Il primo imperatore del sacro Romano Impero, la prima volta che provò il formaggio a momenti prendeva a pugni un Vescovo.
Infatti, il presule invitò Carlo Magno a fare colazione da lui e gli offrì del pecorino.
Non sapendo cosa fosse, ne tagliò un pezzo dalla forma, ma incpomincò a mangiarlo dalla crosta. Non essendo di buon sapore si arabbiò con il commensale che a fatica lo convinse a riprovarlo, ma sta volta partendo dall’altra parte.
L’imperatore ne fu entusiasta e da quel momento, il pecorino non poteva mai mancare dal tavolo.
Persino quando si spostava per ragioni di guerra o diplomatiche, portava con sè, sempre una forma di quel formaggio che tanto amava.