I pomodori, un frutto giunto tardi nel cuneese

I primi pomi d’oro arrivarono in Europa nel 1540

04/04/2025
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La Fiera di Primavera è una delle manifestazioni più importanti del cuneese per quanto riguarda il mondo contadino.
Oltre ai macchinari agricoli e agli animali, alla fiera si possono acquistare svariati prodotti enogastronomici locali e nazionali.
Tuttavia, la grande varietà di prodotti acquistabili, di cui molti sono oramai considerati tipici, fino all’inizio del secolo scorso erano tutt’altro che facilmente reperibili nei mercati o nelle fiere monregalese, ma non solo.
Infatti, prodotti come il pomodoro, considerato il prodotto italiano per eccellenza, fino alla fine dell’Ottocento era conosciuto e utilizzato in cucina solo da pochissimi piemontesi. Ed era sconosciuto a chi viveva sulle Alpi, dal momento che erano tagliati fuori dalle principali reti di comunicazione. Tuttavia è anche vero che “i pomi d’oro” arrivarono in Europa nel 1540 e pochi anni dopo giunsero anche nella penisola italiana, ma non vennero apprezzati. 
Infatti, piatti oramai consolidati nella tradizione italiana, come l’amatriciana, vennero pensati solo nel corso dell’Ottocento.
Un altro prodotto diffusissimo e alla base di numerose ricette nostrane è la patata. Il tubero si diffuse in tutte le vallate delle Alpi Marittime soltanto nel corso della prima metà del XIX secolo e non è un caso che seguì un netto miglioramento della qualità della vita. Infatti, la patata ha caratteristiche alimentari e una resistenza al rigido clima montano che garantiva una resa maggiore dei prodotti coltivati in precedenza.
Prima della diffusione dei due vegetali che più di tutti sono alla base della dieta mediterranea odierna, l’indirizzo agrario delle vallate cuneesi si basò per molti secoli sui cereali e sulle castagne. Il miglio, l’avena, il grano saraceno e anche la saggina fino al 1600, erano i cereali più coltivati. In misura minore vi erano la segale e lo stesso frumento. La coltivazione della segale nel monregalese è attestata fin dall’età del ferro, dal momento che negli scavi condotti nei pressi dei ruderi dell’antico castello di Montaldo, sono state ritrovate sue tracce. La segale però, veniva usata non solo a fini alimentari, dal momento che i suoi lunghi steli venivano utilizzati per la copertura degli edifici. Essendo il grano meno diffuso di altri cereali, anzi in alcune vallate si può dire fosse scarso, il pane bianco era considerato un lusso e perciò il più diffuso, così come la pasta, era quello di tipo “barbarià”, più scuro e sostanzioso. Sempre sulle Alpi venivano coltivati anche fagioli, fave e lenticchie. In più, ogni famiglia disponeva, in genere, di un piccolo frutteto composto da un melo, un pero, un ciliegio, un noce ed un nocciolo, con cui si ricavano oli o liquori. Ovviamente, l’attività pastorale era presente, anche se con greggi e mandrie di ridotte dimensioni. Al massimo una ventina di pecore e qualche vacca.
Insomma, gli agricoltori dovevano sopravvivere con quel poco che la terra poteva offrire e d’altronde si trattava di un’economia di sussistenza, che dipendeva dagli eventi meteorologici, come eccezionali e abbondanti nevicata in inverno, estrema siccità in estate o tremende alluvioni in autunno.
E proprio un alluvione è quanto provocò la perdita del raccolto di castagna e patate nell’autunno del 1851 come venne riportato sul giornale cuneese La Gazzetta delle Alpi.
«I danni recati dalle acque sono incredibili. Strade rotte e sconvolte  ponti ed argini rovinati, qua e là abitazioni distrutte, boschi schiantati, campi e prati estesissimi od invasi dalla fiumana o coperti di ghiaia... Famiglie numerose rimaste senza tetto e senza pane, in sull’entrare di una stagione in cui tutte le miserie si fanno più grandi e che quest’anno, debb’essere al povero più del solito cagione di stenti, perl fallito raccolto delle patate e delle castagne».
Questo ci fa riflettere sulle difficoltà  con cui dovevano convivere i nostri nonni, dal momento che era più difficile coltivare con profitto la terra, specialmente per coloro che abitavano in montagna, in particolar modo sopra i mille 1000 metri, dove la scarsa feritilità dei campi scoscesi e la scarsità d’acqua, rendevano tutto più complicato. Senza contare che per raggiungere un centro abitato di modeste dimensioni, per partecipare al mercato cittadino o per andare semplicemente dal medico, magari si doveva camminare un giorno interno.
Nondimeno, anche in pianura non si viveva di certo come al giorno d’oggi. Sarà solo con il boom economico degli anni Cinquanta del Novecento che le condizioni di vita di chi abitava le campagne miglioreranno notevolmente.
 
Direttore: DIEGO RUBERO
AUT. TRIB. CUNEO n° 688 del 20/12/23
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