L’avvocato Luigi Florio da anni non fa più politica attiva ma resta una voce influente dell’area liberaldemocratica, non soltanto a livello locale.
Unico astigiano, con lo scomparso premier Gianni Goria, ad avere ricoperto il ruolo di parlamentare europeo, già sindaco di Asti e componente del Comitato delle Regioni dell’Unione Europea, impegnato da sempre nel promuovere iniziative culturali a sostegno dei valori fino a ieri definibili democratico-occidentali ma che oggi vengono attaccati anche da occidente. Florio si è spesso trovato a difendere quelle posizioni anche nella aule di giustizia, in processi che hanno avuto grande risonanza: poche settimane fa, quale parte civile in rappresentanza di un’associazione internazionale per la lotta all’antisemitismo, ha ottenuto dal tribunale di Milano la condanna di una scrittrice accusata di avere diffamato la senatrice a vita Liliana Segre e istigato all’odio contro ebrei e israeliani; anni fa, quale difensore dell’ex sindaco di Asti Giorgio Galvagno, attuale presidente di Banca di Asti, fece condannare per diffamazione Beppe Grillo, allora in ascesa politica che pareva inarrestabile.
Avvocato Florio, lei presiede un’associazione che si chiama Europa Duemila, ma sopravviverà l’Europa Unita a questi primi Anni Duemila, visto il fuoco concentrico di Trump e Putin? Si, se saprà riformarsi in senso federale, divenendo un unico soggetto politico. L’Unione Europea è una grande potenza economica, al cui confronto la Russia, col suo pil inferiore a quello italiano, è ben poca cosa. Ma non riesce ad essere una potenza geopolitica perché in politica estera parla con 27 voci differenti, non ha una difesa comune e non ha neppure un proprio esercito. Riformarla non sarà un’impresa facile, ma se non ora quando?
Da parlamentare europeo lei portò ad Asti l’ambasciatore di Israele e il rappresentante diplomatico della Palestina, che parlarono di pace, si abbracciarono e parteciparono insieme a un pranzo cucinato da cuochi ebrei, islamici e cristiani. Ora invece l’odio dilaga, qui come in Medio Oriente. Come se ne esce?
Occorre riprendere a ragionare, smetterla con gli insulti, silenziare gli odiatori per vocazione e iniziare a insegnare, soprattutto ai giovani, la storia del Medio Oriente, quanto meno quella degli ultimi cent’anni, che quasi nessuno conosce. Non è facile ristabilire un clima sereno, perché dopo il pogrom del 7 ottobre 2023 il cancro dell’antisemitismo ha ripreso a correre con lo stesso osceno impeto di 90 anni fa; ma non vedo altra strada.
La relatrice speciale ONU Francesca Albanese, con la quale lei ha avuto recentemente un dibattito organizzato dal Consiglio Nazionale Forense, spiega però quotidianamente e ovunque che in Medio Oriente Israele rappresenta la potenza coloniale occupante fin dalla sua nascita nel 1948…
Proprio in quel dibattito chiesi alla relatrice ONU come mai nel suo rapporto sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi non abbia detto nulla sul fatto che Hamas conculca sistematicamente i più elementari diritti, come quelli alla libertà di espressione e di stampa, perseguita chi non è allineato, impicca gli omosessuali, ha un sistema giudiziario asservito alla politica, non riconosce alle donne neppure il diritto di divorziare, salvo che non sia d’accordo il marito, eccetera, eccetera.
Che cosa le ha risposto?
Che lei deve occuparsi solo dei diritti violati dagli israeliani; mi pare non sia necessario aggiungere altro.
E del caso dell’imam di Torino che il governo voleva rispedire in Egitto e la Corte d’Appello ha fatto tornare in Piemonte che ne pensa?
Non mi stupisce tanto questo provvedimento, che immagino si fondi sul pericolo per l’imam, aderente al radicalismo islamico, di essere perseguitato in patria, quanto il fatto che il precedente procedimento
a suo carico per apologia del terrorismo e odio antisemita sia stato archiviato dal Tribunale di Torino: siamo infatti di fronte a un soggetto che ha giustificato l’atroce massacro di ebrei del 7 ottobre 2023 e che così si sentirà legittimato a perseverare.
Veniamo ad Asti, l’argomento che tiene banco da qualche tempo è la possibile vendita di un consistente pacchetto azionario di Banca di Asti da parte della Fondazione bancaria. Pare ci siano più soggetti interessati all’acquisto e che Fondazione e Banca siano ai ferri corti. Lei che è stato in passato tra coloro che nominavano i componenti della Fondazione, come la vede e che cosa auspica?
Mi pare che i problemi siano due: se vendere e a chi vendere. Credo probabile si arrivi alla vendita di un pacchetto azionario in modo da ridurre la partecipazione della Fondazione nella Banca, come previsto per legge.
Pare però che non vi sia uniformità di vedute sul possibile acquirente… Ho letto dell’interesse di importanti gruppi bancari di rilievo nazionale e internazionale e anche, ultimamente, di almeno un’importante Fondazione bancaria piemontese. Banca di Asti, non dimentichiamolo, è la prima azienda della provincia di Asti per numero di dipendenti ed esercita un ruolo imprescindibile nell’economia locale. I fattori da valutare, in un’eventuale vendita, sono molteplici, ma il più importante mi pare debba essere la salvaguardia della territorialità dell’istituto.
In che senso?
In un duplice senso: assicurare che la banca continui ad avere come target lo sviluppo del territorio da cui trae la maggior parte della propria raccolta e garantire alle rappresentanze di questo territorio un ruolo guida nella scelta degli amministratori.
Ma così non c’è il rischio di relegare la Banca di Asti a un ruolo marginale rispetto ai grandi gruppi?
La Banca di Asti è cresciuta molto negli ultimi anni e oggi è a capo di un gruppo di rilevante consistenza, che tuttavia non ha perso le sue caratteristiche territoriali. Credo che continuare a crescere con tali caratteristiche debba costituire la sua mission. Il vero rischio, a mio parere, è che possa finire fagocitata da un grande gruppo, scelta che porterebbe ogni decisione lontano da qui.