"Sono passati 30 anni, la guerra è finita, i nemici si stringono la mano, possiamo anche dire che va bene, anche se non accetto che ce li ritroviamo in Parlamento, all'Università. Gli scheletri ci sono da ambedue le parti". Contiene un richiamo a questa dichiarazione del generale dei carabinieri Umberto Rocca, rilasciata nel 2008, l'ultima memoria difensiva inviata ai giudici di Alessandria da uno degli avvocati difensori dei tre ex brigatisti rossi che a partire dalla prossima settimana saranno processati nella città piemontese per uno scontro a fuoco risalente al 1975.
Il legale, Davide Steccanella, traccia nel documento una serie di considerazioni sul senso di un processo celebrato a distanza di 50 anni dai fatti. Rocca (morto nel 2023) fu il tenente che guidò la pattuglia dell'Arma durante l'intervento alla Cascina Spiotta, dove rimase ferito in modo gravissimo per lo scoppio di una bomba a mano.
È quanto scrive uno degli avvocati difensori, Davide Steccanella, in una memoria inviata alla Corte di assise di Alessandria alla vigilia dell'apertura del processo. Il caso al vaglio dei giudici (togati e popolari) è quello dello scontro a fuoco del 5 giugno 1975 in cui perse la vita il carabiniere Giovanni D'Alfonso. L'avvocato Steccanella, nel documento, manifesta ai familiari della vittima, che si sono costituiti parte civile, "il massimo rispetto" e "la più sentita condivisione emotiva per il gravissimo lutto".
Nelle sue considerazioni conclusive, però, indica alcuni aspetti sul carattere di un processo che sarà celebrato dopo 50 anni. Il primo riguarda l'età e il percorso di vita degli imputati (Roberto Curcio, Mario Moretti e Lauro Azzolini). "I principi costituzionali - spiega - impongono sempre di considerare il duplice effetto che deve avere la pena nel nostro ordinamento, il secondo dei quali, di pari rango rispetto al primo meramente afflittivo, viene espressamente identificato nei reinserimento del soggetto: questa evenienza risulta già pienamente realizzata, e ben prima del presente processo".
La seconda considerazione è legata "all'affermazione a dir poco eccentrica della procura di Torino" che in diverse occasioni ha parlato di "non volontà di mandare in prigione nessuno".
Secondo l'avvocato è una presa di posizione che contrasta con l'azione giudiziaria dei magistrati, anche perché durante le indagini è stata chiesta (senza successo) "per ben due volte la carcerazione domiciliare preventiva di Lauro Azzolini per un fatto commesso 50 anni or sono". Steccanella entra anche nel merito delle accuse mosse dai pm e ricorda che Azzolini dai fatti della Cascina Spiotta fu prosciolto in istruttoria ad Alessandria nel 1987. La sentenza però è andata perduta nell'alluvione del 1994 e il legale contesta la decisione di riaprire il caso sulla base di un documento introvabile.