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Depistaggio Cucchi, giudici Appello: "Intento dei carabinieri era restituire una realtà di comodo"
16/09/2025

(Adnkronos) - “Nella catena degli accadimenti immediatamente precedenti, concomitanti e immediatamente susseguenti la stesura delle annotazioni incriminate, la sentenza ha accertato come si siano verificate una serie di anomalie che, tutte insieme considerate, hanno dimostrato che l'intento dei carabinieri comandati da Casarsa, che all'interno, all'esterno e verso le altre Istituzioni doveva rispondere dell'operato dell'Arma romana, non è stato quello di trovare ‘la mela marcia’, ossia di approfondire realmente la dinamica degli eventi ma, al contrario, di restituire una realtà di comodo”. E’ quanto scrivono i giudici della seconda sezione della Corte di Appello di Roma nelle motivazioni della sentenza del processo sui depistaggi seguiti al pestaggio e alla morte di Stefano Cucchi, il 31enne romano, arrestato il 15 ottobre del 2009 e deceduto sette giorni dopo all'ospedale Sandro Pertini.  

Con la sentenza i giudici lo scorso 19 giugno hanno confermato la condanna a un anno e tre mesi per Lorenzo Sabatino, a due anni e mezzo per un altro carabiniere, Luca De Cianni, e riconosciuto l’intervenuta prescrizione per il generale Alessandro Casarsa, per Francesco Cavallo e Luciano Soligo. Assolti invece Massimiliano Colombo Labriola e Tiziano Testarmata, che erano stati condannati in primo grado a un anno e nove mesi. Ridotta invece la pena a 10 mesi per Francesco di Sano. Le accuse contestate nel procedimento, nato dall’inchiesta del pm Giovanni Musarò, a vario titolo e a seconda delle posizioni, vanno dal falso, al favoreggiamento, all’omessa denuncia e calunnia.  

Una realtà di comodo, scrivono i giudici, “compatibile con quanto era già emerso, che potesse far ricondurre la responsabilità del decesso essenzialmente alle condizioni di Stefano Cucchi in quanto epilettico, tossicodipendente (quando, più probabilmente, era stato tossicodipendente ma non lo era all'attualità), anoressico (quando era solo molto magro), addirittura sieropositivo (dettaglio falso prima riferito e poi subito smentito), per il quale - scrivono i giudici - nessuna anomalia si era verificata durante la detenzione o quanto meno durante la custodia affidata all'Arma”.  

Per i giudici d’appello “il quadro probatorio ricostruisce dunque una immagine di Casarsa interessato essenzialmente a presentare quella verità di comodo circa le condizioni di salute di Stefano Cucchi che avrebbe orientato gli inquirenti verso soggetti diversi dai Carabinieri (soggetti vittime, dopo Cucchi e la sua famiglia, di tale sviamento), in questo verosimilmente compendiandosi il significato di quelle linee guida o di indirizzo che egli ha ammesso, in sede di esame, avere dato per il lavoro informativo da svolgersi, di fatto eseguito, fino al secondo appunto del 30.10.2009, in modo da restituire l'immagine di uno Stefano Cucchi malato di suo, tossicodipendente, al quale nulla era accaduto durante lo stato di detenzione”.  

E per quanto riguarda la condotta di Sabatino, si legge nella sentenza “lungi dall'apparire ‘senza movente’ si rivela accomunata alle altre condotte” e “da una medesima volontà: quella, nell'ambito della tragica vicenda occorsa a Stefano Cucchi, di allontanare i sospetti degli organi inquirenti dagli appartenenti all' Arma dei Carabinieri”. 

cronaca
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