(Adnkronos) - "Una reazione simbolica" con un attacco contro una base americana nella regione, come quello del gennaio del 2020 condotto dai Pasdaran per 'vendicare' l'uccisione a Baghdad del generale Qasem Soleimani, il comandante della Forza Quds che aveva ridisegnato la presenza militare iraniana nella regione attraverso i proxies. E' lo scenario 'migliore' di una rappresaglia all'attacco americano contro i siti nucleari iraniani, mentre Teheran valuta diverse opzioni. "Un attacco del genere, con il lancio di missili che, auspicabilmente, farebbero danni ma non vittime, come fu cinque anni fa contro due basi americane in Iraq, sarebbe lo scenario ideale - dicono all'Adnkronos fonti informate - perché consentirebbe al regime di vendersi con la popolazione la rappresaglia contro gli Stati Uniti, mentre si riprende a negoziare".
Al di là di questa opzione 'ideale', c'è quella che l'Iran colpisca in modo più duro gli obiettivi degli Stati Uniti nella regione, dove ha un totale di 19 siti militari, di cui otto permanenti. I Pasdaran hanno minacciato di "ridurre in cenere" le basi americane e di colpire le navi e potrebbero farlo con missili a corto raggio e droni di cui ancora dispongono in abbondanza, a differenza dei missili balistici. Ma gli Stati Uniti intanto hanno rafforzato le difese aeree intorno ai loro dispositivi e 'disperso' la presenza navale, avvertendo in particolare che, in caso di rappresaglia iraniana, l'obiettivo dei caccia americani diventerebbe l'ayatollah Ali Khamanei, ricorda il Guardian.
C'è poi la possibilità che Teheran ricorra all'Asse della resistenza, sempre più debole però: gli Hezbollah libanesi, le cui capacità sono decimate, gli Houthi yemeniti, che a maggio hanno concordato un cessate il fuoco con gli Stati Uniti, o le milizie irachene. Queste ultime, per la maggior parte "ormai istituzionalizzate", sono quelle che più di tutte, negli ultimi mesi, si sono tenute lontane dal conflitto, nonostante la minaccia nei giorni scorsi di uno dei leader di Kata'ib Hezbollah, Abu Ali al-Askari, secondo cui le basi statunitensi nella regione "diventeranno simili a zone di caccia alle anatre".
"L'eventuale reazione delle milizie è un'incognita. Sono in attesa di ordini da Teheran, ma certo avrebbero tutto da perdere nel caso di un loro intervento, perché gli Stati Uniti colpirebbero duro appena alzassero la testa", spiegano le fonti. Convinte che in effetti le opzioni per Teheran siano abbastanza limitate e piene di rischi. Come quella di bloccare la navigazione nello Stretto di Hormuz, minando il canale, sequestrando le navi e conducendo cyberattacchi. Ma anche questa ipotesi porta con sé tutta una serie di effetti 'autolesionistici' per l'Iran, che usa quel passaggio per le sue esportazioni di petrolio, in particolare alla Cina.
Le prossime ore potrebbero essere le più critiche, come dicono a Nbc News due fonti della difesa americana e un funzionario della Casa Bianca. La stessa emittente rivela che nei giorni prima dell'ordine finale dato da Trump, l'Iran ha inviato un messaggio privato al presidente avvertendolo che avrebbero risposto a un eventuale attacco attivando cellule terroristiche dormienti per condurre attacchi terroristici su suolo americano. E l'avvertimento sarebbe stato trasmesso a Trump attraverso un intermediario durante il G7 in Canada, che il presidente aveva lasciato anticipatamente.
Teheran, infine, potrebbe anche decidere di servire la sua vendetta a freddo, in un momento successivo, come farebbero intendere le parole pronunciate dal ministro degli Esteri Abbas Araghchi, che ha parlato di "conseguenze eterne" per l'attacco americano al suo Paese. Nessuna reazione contro gli Stati Uniti, nella consapevolezza di non avere la forza di sostenere un confronto con gli americani, mentre continua a colpire Israele.
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